SCUOLA/ Inglese alle elementari: bilinguismo sì, ma al “naturale”

- Luisa Cogo

Ormai l’insegnamento di una lingua straniera nella scuola primaria è un’esigenza importante e irrinunciabile. Occorre però farlo nel modo giusto. LUISA COGO

bambina_scuola_compitoR439 Immagini di repertorio (Infophoto)

Alla solita maniera italiana, soprattutto per quanto riguarda la scuola, ci ritroviamo a un trentennio dall’introduzione della lingua inglese nella scuola primaria (risale infatti ai programmi didattici emanati nel 1985 e ai successivi decreti del 1990 e 1991 che già facevano riferimento a sperimentazioni attuate dalla solita buona volontà di tanti insegnanti), a vedere, tra le novità della legge sulla Buona Scuola, proprio l’inglese.

Nel mezzo ci sono la Riforma Moratti, i vari documenti della commissione europea sulle competenze chiave tra cui figura quella di una seconda lingua comunitaria, le Raccomandazioni europee del 2006, le Indicazioni nazionali del 2012 e certamente sfuggono, a questa sommaria analisi, tanti riferimenti al ricco panorama legislativo in materia. Accanto a questo accenno che lascia un senso di incompiutezza, di qualcosa che non parte mai, ci sono però tante esperienze che, nascendo da una riflessione continua su ciò che accade a scuola, fanno emergere la ricchezza non solo di una buona pratica, ma anche di concezione e di suggerimenti metodologici.

L’ambito delle scuole paritarie, di cui fa parte anche la mia scuola, ha dimostrato una particolare sensibilità a questo tema, non solo a motivo di una richiesta esplicita dei genitori, ma per un’attenta considerazione della realtà in cui siamo immersi, che non permette più — se ci si pone in un’ottica di educazione come introduzione a tutta la realtà che si incontra — di non indicare tra le proprie priorità anche l’apprendimento naturale e fluente di una seconda lingua. Si tratta, a mio parere, di rimettere nella giusta ottica questo tema, non allontanandosi dalla realtà ma neppure esasperando una specializzazione linguistica che non è il proprium delle scuole del primo ciclo, soprattutto quelle dell’infanzia e primaria.

Ritroviamo già nei programmi del 1985 la forte centratura di una finalità comunicativa e, proprio su questo aspetto, che pone l’accento sul mettere in comune con altri un bene che si possiede, occorre soffermarsi per comprendere l’orizzonte in cui può collocarsi, a livello di scuola, una proposta che abbia l’ambizione di essere significativa. E’ dentro una naturalità, non lasciata al caso, ma progettata nei contenuti e tempi, creando un ambiente di apprendimento guidato in un processo graduale di assimilazione, che il bambino passa dall’implicitezza, in cui prevale esclusivamente la comunicazione orale, a una graduale riflessione sulla lingua che avviene nel corso del tempo e secondo un metodo induttivo.

Mi piace richiamare la frase del famoso linguista Noam Chomsky, che afferma: “il fatto che tutti i bambini normali acquisiscano delle grammatiche sostanzialmente comparabili, di grande complessità e con notevole rapidità, suggerisce che gli esseri umani siano in qualche modo progettati in un modo speciale, con una capacità di natura misteriosa”. Ci vuole tutto il coraggio di uno scienziato per pronunciare la parola “mistero” in riferimento a quella capacità squisitamente umana di associare idee a parole, e parole a suoni. L’apprendimento di una lingua è un fatto musicale, occorre infatti sperimentare, per poterli acquisire, elementi fonetici e forme sintattiche. In questo processo fondamentale è la figura del docente, che guida il lavoro e lo semplifica, sapendolo adeguatamente sviluppare.

L’approccio alla lingua inglese deve insomma rispettare la modalità con cui un bambino impara anche la lingua madre, e cioè attraverso un processo di osmosi: i bambini hanno la possibilità di sentire frasi, ma devono scoprire da sé le strutture fondamentali per comprenderle e costruirne di nuove. Ogni espressione strutturata della grammatica universale può essere interpretata su due livelli: quello dell’apparato senso-motorio, ovvero il modo in cui viene esternalizzato il linguaggio (suoni articolati, ma anche segni) e quello dei sistemi di pensiero, che forniscono quell’insieme di schemi necessari a comprendere il mondo circostante, a ragionare e progettare azioni.

Gli studi più recenti sul bilinguismo precoce (inteso qui come esposizione a una seconda lingua) hanno rinunciato a mettere in relazione bilinguismo e quoziente intellettivo, concentrandosi invece sulla relazione fra bilinguismo e sviluppo cognitivo. Di fatto, nessuna indagine recente indica che il bilinguismo possa rappresentare uno svantaggio per il bambino, né dal punto di vista emotivo e sociale, né da quello dello sviluppo della personalità.

Le attività di Ell (Early Language Learning) condotte nelle strutture preprimarie possono costituire un’esperienza di arricchimento, i cui benefici sono considerevoli. Contribuiscono a migliorare competenze quali la comprensione, l’espressione, la comunicazione e la risoluzione dei problemi, che permettono ai bambini di interagire con successo fra loro e con gli adulti. Tali attività possono aumentare la capacità di concentrazione dei bambini e accrescere la loro fiducia in se stessi. L’esperienza indica che i bambini piccoli imparano le lingue in modo intuitivo (apprendimento inconscio), ad esempio mediante l’ascolto e l’esplorazione creativa, stimolati dalla curiosità. Quanto più piccoli sono i bambini quando vengono esposti a lingue diverse, tanto più sono in grado di sviluppare una sensibilità verso il ritmo, la fonologia e l’intonazione della lingua. In questo modo saranno inoltre molto più capaci, in seguito, di comprendere la struttura della lingua.

Man mano che crescono, infatti, perdono parte della loro capacità di adattamento e imitazione. Esistono prove del fatto che, pur essendo più lenti ad acquisire una seconda lingua rispetto agli adolescenti o agli adulti, i bambini tendono a raggiungere livelli più elevati di competenza a lungo termine. Anche la durata di esposizione alla lingua ha solitamente un effetto positivo. L’insegnamento di una lingua ha come primo obiettivo quello di aiutare i bambini a rendersi conto che esistono lingue diverse dalla propria, suscitando il loro interesse e la loro curiosità nello scoprire analogie e differenze tra le varie lingue e facendo sì che possano familiarizzarsi con suoni e intonazioni diversi. È importante quindi che non siano sottoposti a pressioni e possano sempre esprimersi nella lingua con cui si sentono maggiormente a loro agio.

Iniziare presto significa anche che l’apprendimento può avvenire su un arco di tempo più lungo, il che può aiutare a conseguire risultati più duraturi sia nell’apprendimento delle lingue che in altri ambiti di apprendimento.





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