SCUOLA/ Il nuovo esame di stato e quei princìpi (non negoziabili) da cambiare

- Franco Tornaghi

Un decreto attuativo della legge 107 relativo alla valutazione intende cambiare gli esami di stato di medie e superiori. Cosa cambierà davvero? Il commento di FRANCO TORNAGHI

scuola_studenti_esame4R439 LaPresse

Correva la fine del precedente millennio e una delle grandi novità nella scuola italiana, con ministro Luigi Berlinguer, sembrava essere il nuovo esame di stato che avrebbe sostituito la maturità “sperimentale” (trentennale…) introdotta col vento del ’68. Esso si dimostrò meno longevo del predecessore e già due o tre ministri dopo (unità di misura tipicamente italiana) si fecero dei cambiamenti: da presidente e mezza commissione esterna a presidente esterno e tutti i docenti interni. Ma durò poco: si tornò alla versione originale. Nel frattempo si introdusse una novità sui punteggi: inizialmente 20 erano quelli accumulabili nel triennio e 80 all’esame di stato, poi si passò rispettivamente a 25 e 75.

Con l’a.s. 2017-2018 ci si prepara ad un altro cambiamento, a quel che si dice più radicale. Non è intelligente esprimere giudizi su ipotesi di lavoro come se fossero già operative, ma in questo caso la fonte di informazione è il ministero stesso. Mi sento perciò legittimato ad esprimere osservazioni personali, basate esclusivamente sull’esperienza e non su uno schema teorico che pretenda di essere più intelligente di un altro. L’esperienza a cui faccio riferimento è quella che mi ha visto responsabile dell’organizzazione dell’esame di stato per quindici anni in un istituto tecnico sperimentale, dirigente scolastico nell’ultimo biennio e mai assente nell’impegno conclusivo degli studenti delle quinte secondarie di II grado. Sono stato più volte membro interno, membro esterno e presidente di commissione e affiancherò all’informazione sulle proposte ministeriali alcune mie opinabili considerazioni. Devo anche segnalare che l’esperienza all’esame di stato l’ho sempre fatta volentieri e ogni volta ne sono uscito arricchito: il confronto con le altre realtà è sempre stato importante al fine di maturare un giudizio sulla situazione della scuola che non avesse come unico angolo visuale il proprio istituto.

Le più volte promesse prove Invalsi ci saranno e saranno svolte al computer. Esse riguarderanno tre materie (italiano, matematica e inglese) e si svolgeranno non a giugno, ma durante l’anno scolastico; anzi il loro affronto è condizione necessaria ma non sufficiente per l’ammissione all’Esame di Stato.

Mi sembra positivo che ci siano prove Invalsi uguale su tutto il territorio nazionale. Non capisco perché non svolgerle durante l’esame di stato. O meglio, sospetto che il motivo sia semplice: non tutte le scuole potrebbero posizionare ogni candidato davanti a un computer, avendone in numero inferiore rispetto alle necessità. Una sola perplessità: dalle proposte emerse non si capisce se l’esito delle prove Invalsi inciderà sui 100 punti a disposizione. Se la risposta fosse no — come sembra, direi che esse sono ridotte a un adempimento burocratico e a questo sarei contrario.

Tre sono le condizioni indispensabili per l’ammissione all’esame di stato: 1) una media maggiore o uguale a 6 nello scrutinio finale, 2) la partecipazione alle prove Invalsi, 3) la partecipazione nel triennio alle attività di alternanza scuola-lavoro  (almeno 200 ore nei licei e almeno 400 nei tecnici e professionali). 

Non occorre un occhio particolarmente attento per capire la differenza con la situazione attuale: da “un voto maggiore a uguale a 6 in ciascuna materia” a “una media maggiore o uguale a 6”. Traduzione: potranno essere ammessi studenti anche con qualche 4 e 5. Atto di realismo, vista la quantità di 6 “finti” che si nascondono adesso dietro il 6 di ammissione? O dichiarazione esplicita di impotenza nell’obbligare ad affrontare tutte le materie? Una cosa è certa: lo studente che ha deciso di “farsi lo sconto” su due o tre materie potrà essere ammesso all’esame.

Il credito scolastico accumulabile nel triennio aumenta del 60%: passa da 25 a 40 punti. Ma esso comprenderà una parte obbligatoria di valutazione dell’alternanza scuola-lavoro? E/o delle prove Invalsi? In ogni caso un dato è evidente: la commissione avrà a disposizione solo 60 punti. Si giustifica l’esistenza stessa di un esame di stato già prestabilito al 40%?

Per quanto riguarda la formazione delle commissioni, non c’è una proposta definitiva e anzi si dice che tutto potrebbe rimanere invariato. Ma sono segnalate due possibilità: 1. tutti membri interni con un presidente esterno; 2. un presidente unico per tutte le commissioni del medesimo istituto, le quali restano come ora (3 interni + 3 esterni). La prima soluzione fa risparmiare più soldi, mentre l’altra ricalca lo status quo.

Che dire? Ricordo che la prima cosa che si faceva all’ingresso del presidente dell’esame di stato, quando era unico per tutta una scuola e tutti i docenti erano interni, era squadrarlo con la speranza che si capisse da subito che non era un imbranato. E se proprio fosse stato imbranato la cosa importante era affiancargli qualcuno che per 20 giorni lo distraesse dal fare danni e gli proponesse soluzioni coerenti con la normativa (magari solo parzialmente nota) e soprattutto che potesse realizzare il desiderio di tutti di non utilizzare un minuto in più dell’indispensabile e potere poi andare in vacanza. Forse è per questo che al ministero si precisa che il presidente “viene individuato in un albo dopo specifica formazione e selezione”.

Ma veniamo alle prove. Vi saranno due prove scritte ministeriali ed il colloquio. Ciascuna di esse avrà come punteggio massimo 20. Il colloquio ha lo scopo di accertare le competenze relative al profilo dello studente — perciò conterrà l’esposizione di quanto fatto in alternanza scuola-lavoro — e la sua capacità argomentativa e critica. Per questo la commissione dovrebbe proporre testi o documenti da cui partire. Sarà d’obbligo tenere in considerazione il contenuto del “curriculum digitale dello studente”, una specie di contenitore degli attuali elementi che costituiscono il credito formativo. 

L’argomento da cui partire ricorda la “tesina” attuale, con la differenza che esso dovrebbe essere una novità per lo studente, mentre prima teoricamente era il frutto di mesi di lavoro. L’attuale terza prova non troverà molti fans tristi per la sua abolizione. Non mi è chiaro che ruolo avranno le materie non coinvolte direttamente nell’esame di stato. Che fine farà la mitica frase presente in quasi tutte le ordinanze ministeriali sull’esame di stato, “Preponderante rilievo deve essere riservato alla prosecuzione del colloquio, che, …deve vertere su argomenti di interesse multidisciplinare e con riferimento costante e rigoroso al lavoro didattico realizzato nella classe durante l’ultimo anno di corso”? Anche questa frase non mi mancherà, ma sono curioso di sapere da cosa verrà sostituita.

Infine, una considerazione conclusiva. Se si è letto fino a qui e se si conosce l’argomento, penso che sia scattato un pensiero simile a un riflesso incondizionato: “…gira e rigira sono sempre le stesse possibilità… corsi e ricorsi storici… commissione interne, esterne… prove Invalsi sì o no… media maggiore del sei o ciascuna materia sufficiente…”. 

Allora butto un sasso nello stagno.

L’origine di tutto è nella Costituzione, in uno degli articoli più citati, il 33. In esso si legge “E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”.

L’impressione è che qualche profonda novità relativamente all’esame conclusivo degli studi del secondo ciclo la si potrà avere solo decidendo che queste righe della nostra Costituzione non siano un “principio non negoziabile” da difendere a priori, bensì, come ogni regola che una società si dà, un pilastro su cui ci si è appoggiati per 70 anni, ma che forse necessita una rivisitazione profonda.





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