SCUOLA/ Francesco e Kirill, il senso della storia insegnato ai giovani

- Fabrizio Foschi

Certamente i docenti di storia hanno richiamato l'attenzione di loro studenti sull'incontro definito "storico" tra Francesco e Kirill. Ma c'è una via ulteriore da esplorare. FABRIZIO FOSCHI

kirill_papafrancesco_avanaR439 L'abbraccio tra Kirill e papa Francesco a L'Avana (Foto L'Osservatore Romano)

Aiutare gli studenti a comprendere le radici storiche del presente è compito unico della scuola. Ma come? Prendiamo per esempio l’incontro storico tra Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, avvenuto nei giorni scorsi a Cuba e conclusosi con una impegnativa dichiarazione comune in trenta punti. Il documento sarebbe tutto da leggere e approfondire, non solo perché trasuda storia, ma anche per il suo fondamentale valore metodologico, specie là (punto 7) dove afferma: “Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato, vogliamo unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo”.

Dunque, le controversie storiche di carattere religioso (riferimento alla questione del filioque e alla reciproca scomunica tra Roma e Bisanzio del 1054) sono da superare alla luce della continuità della tradizione cristiana dei santi e dei martiri che, rinnovata nel presente, permette di affrontare le sfide contemporanee (tra le più urgenti: la persecuzione dei cristiani, la guerra in Medio Oriente, l’indebolimento dell’istituto familiare). 

Torneremo tra un attimo al documento, ma prima permettiamoci un viaggio in Italia tra arte e storia. Una prima tappa facciamola a Firenze, quella che nei primi decenni del XV secolo, in piena età umanistica, poteva essere considerata, tranne che per lo splendore monumentale che la perla dei Caraibi non ha, una “Cuba dell’Occidente”, fuori dalle contese che contrapponevano, dopo la soluzione del grande scisma che aveva diviso la cattolicità, i sostenitori della supremazia del concilio sul papa e il papa stesso. Quest’ultimo impegnato a risollevare le sorti dello stato pontificio rovinato dal lungo trasferimento della santa sede ad Avignone. La Chiesa era in pericolo, il papa, si trattava di Eugenio IV, anche. Il pontefice si rifugiò a Firenze, dove volle che fosse trasferito il concilio, questa volta sotto la sua autorità (1439).

A Firenze, dove si stava affermando la potenza economica e politica dei Medici, non estranei allo spostamento del concilio tra le mura della città gigliata, si stava svolgendo però un’altra partita che si collega in qualche modo all’evento dell’Avana. Si stava realizzando l’unità con la Chiesa greca che preoccupava non solo Eugenio IV, ma anche l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo e il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II. Costantinopoli era, infatti, minacciata dai Turchi ottomani che la prenderanno di lì a non molto, nel 1453, ponendo fine all’impero romano d’Oriente. I Greci che convennero a Firenze, dopo la breve fase del concilio di Ferrara, si auguravano che una cristianità unificata avrebbe costituito un solido baluardo contro la minaccia islamica. 

Ma così non fu, benché l’atto di unione della Chiesa greca con quella latina sia stato siglato dalla due autorità, quella latina e quella bizantina, e faccia bella mostra di sé alla Laurenziana di Firenze, scritto su due colonne, il testo latino a sinistra, il testo greco a destra, con le annesse bolla papale in piombo e bolla imperiale in oro. Il Decreto di unione della chiesa latina con i greci (Laetentur caeli) riferisce dei “padri occidentali e orientali [che] dopo un lunghissimo periodo di dissensi e di discordie, affrontando i pericoli del mare e della terra, superate fatiche di ogni genere, sono convenuti, lieti e alacri, a questo santo concilio ecumenico col desiderio di rinnovare la sacratissima unione e ristabilire l’antica carità”. Questo passaggio riecheggia oggi nella dichiarazione congiunta di Francesco e Kirill e risuonò allora, nel duomo di Firenze, proclamato nelle due lingue della classicità da cardinali grandiosi nei loro paramenti. Una eco di tanto splendore la rinveniamo, probabilmente, ancora a Firenze nella cappella del palazzo Medici Riccardi, che Benozzo Gozzoli affrescò per Cosimo de’ Medici (1459) per dare compimento ad una scena dell’Incarnazione. Nel Corteo dei Re Magi, parte di questa scenografia adorante, sono ritratte, oltre ai membri della famiglia Medici, anche le personalità che arrivarono a Firenze in corteo in occasione del concilio di vent’anni prima.

Mentre Benozzo dipingeva, scrive Bargellini nella sua insuperabile Guida di Firenze, i Turchi si affacciavano sul Mediterraneo e tutto l’Occidente cristiano ne tremava. Non valse proclamare altre crociate ad allontanare gli “infedeli”, anche perché i propositi di muovere contro gli Ottomani fallirono per la divisione delle potenze europee. E la cristianità si trovò monca di un suo polmone, mentre l’eredità dell’Oriente greco fu a vantaggio della Russia, la “Terza Roma”, una radice lontana di quello che oggi proclama il documento congiunto firmato a Cuba. 

Prima di riprendere quest’ultimo punto, facciamo una seconda tappa dell’ipotetico viaggio storico-artistico e portiamoci ad Urbino, esattamente di fronte alla Flagellazione di Piero della Francesca, conservata nel Palazzo Ducale, uno dei dipinti più enigmatici di tutta la storia dell’arte italiana. Qual è l’esatto significato della rappresentazione? Chi sono i personaggi che fanno da cornice al Cristo flagellato? Difficile riassumere in due parole i tanti fiumi di inchiostro spesi per decifrare l’opera. Lasciando a chi vuole il piacere di approfondire le ultime ricerche (Ginzburg, Ronchey), si può accennare al fatto che se la data di composizione è intorno al 1459, il capolavoro potrebbe rappresentare proprio il cristianesimo d’oriente martirizzato dalla conquista islamica. Naturalmente si tratta di una interpretazione rivista e rivedibile. Ma suggestiva. 

E veniamo all’eredità della Terza Roma cui il crollo orientale ha dato fiato. Il documento congiunto accenna al “rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni”. Parole pesantissime che aprono scenari mai considerati prima. O meglio, forse tutto si ricapitola. I tentativi del passato di realizzare l’unità per via diplomatica o addirittura sconfiggendo gli avversari con le pur gloriose crociate si stanno attuando nella forma imprevedibile di una corrente di fede sotterranea che emerge all’improvviso a sancire un nuovo orientamento. Che cosa stia accadendo realmente in Russia lo sapremo meglio forse nel tempo prossimo. Sicuramente sappiamo che l’incontro di Cuba ha riaperto scrigni che contengono tesori tutti da rinnovare.





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