SCUOLA/ Contratto Lega-M5s, 540 parole senza una proposta operativa

- Luisa Ribolzi

Lega ed M5s continuano ad limare la bozza del loro contratto di governo. Ma la voce "scuola" si rivela del tutto inadeguata e priva di proposte. LUISA RIBOLZI

scuola_elementare_alunni_studenti_lapresse_2018 Scuola (LaPresse)

All’interno di “tutto il governo minuto per minuto” nella bozza di contratto M5s-Lega del 17 maggio ore 19 (ma come e da chi viene trasmessa alla stampa?) vado a leggermi il programma sulla scuola e vinco la tentazione di terminare l’ultimo romanzo di David Baldacci. Lo trovo al punto 22 di 29, in ordine alfabetico e non, spero, di priorità. Sono poco più di 540 parole per complessive 47 righe, su di un totale di 39 pagine: un bel cambiamento dal documento programmatico sulla cosiddetta “Buona Scuola”, 136 pagine, che viene citata tre volte come fallimentare, perché le sue proposte si sono mostrate “insufficienti e spesso inadeguate” (e uno) e vanno annullate al più presto.

Ma quali sono le proposte dell’ipotetico nuovo governo per quella scuola che “dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia”?

Per “consentire un necessario cambio di rotta” si deve intervenire “sul fenomeno delle cosiddette ‘classi pollaio’, dell’edilizia scolastica, delle graduatorie e titoli per l’insegnamento”. A parte la catalogazione come “fenomeni”, mi paiono tre temi eterogenei, non certo nuovi anche se importanti: gli investimenti in edilizia, in particolare, sono fondamentali per la sicurezza, ma anche per creare un ambiente accogliente e stimolante.

E’ possibile che esistano, anche se non sono quantificate, le “classi pollaio”, terminologia di origine cigiellina, anche se la normativa prevede classi di 18-26 alunni, 22 se è presente un alunno disabile, con possibile deroga fino a 29. Secondo l’Ocse (Education at a glance, 2017) la dimensione media delle classi italiane è di 19 ragazzi nella scuola primaria e 21 nella secondaria di primo grado: valori medi Ue rispettivamente 21 e 23. Ogni insegnante ha a che fare — ma questo nel 2015 prima delle massicce assunzioni — con 19, 21 e 13,5 studenti nei tre ordini di scuola. L’esistenza delle “classi pollaio” va deprecata (anche se la ricerca internazionale asserisce che sotto i 40 allievi non esistono differenze significative di prestazione, anzi in classi troppo piccole è più debole il peer effect, il contributo dato dalla presenza dei compagni), ma non parrebbe essere epidemica.

Graduatorie e titoli per l’insegnamento, 56 pagine di “Buona Scuola”, assunzioni massicce, risultati irrilevanti: dato che il sistema di formazione e reclutamento è stato modificato almeno quattro volte negli ultimi anni, senza mai valutarne gli esiti, stiamo a vedere le nuove proposte. Non si sa: si parla solo della valorizzazione di un legame con il territorio, bisognerà però risolvere la spinosa questione del fatto che ci sono più bambini e meno insegnanti al Nord e viceversa. Potremmo bloccare la mobilità, proposta formulata per i disabili, cui va garantito per l’intero ciclo lo stesso insegnante di sostegno, che disporrà di “adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento”: giusto, purché sia vero, e si mettano in conto le opposizioni.

La chiamata diretta da parte delle scuole prevista dalla “Buona Scuola” (e due), che io mi ostino a considerare come l’unica via d’uscita al problema dell’eccessiva mobilità e del precariato, è considerata “tanto inutile quanto dannosa”. Si parla poi, nell’ordine, di limitare la dispersione scolastica, consentire a tutti l’accesso agli studi, rimanere al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche: “per consentire tutto ciò garantiremo ai nostri docenti una formazione continua”. D’accordo sia sulla diagnosi che sul rimedio, che però non entra nel minimo dettaglio, e non tiene conto del fatto che il sistema di formazione continua del nostro paese è tra i peggiori d’Europa.

Quanto all’alternanza prevista dalla cosiddetta “Buona Scuola” (e tre), si asserisce che “si è trasformata in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento” e, in estrema sintesi, “non può che considerarsi dannoso”. Mi occupo da molto di questi temi, ma le ricerche su cui si basano queste severe valutazioni su di un’esperienza che tocca centinaia di migliaia di studenti mi sono sfuggite.

A parte il tentativo poco riuscito di ridere per non piangere, concluderei notando che le due paginette scarse del contratto non contengono nulla che non sia scontato, e soprattutto non formulano nessuna (sottolineo nessuna) proposta che abbia una sia pur vaga parvenza di operatività.

Questo può anche essere un bene: un ministro dell’Istruzione competente, fattispecie in via di estinzione, potrebbe muoversi in modo autonomo fra indicazioni così generiche.

Ma che fare della normativa esistente, di cui la legge 107/2015 prevedeva un decreto di sistemazione, che non è stato fatto, e probabilmente non sarà fatto mai? Non si può continuamente normare solo in opposizione a quanto è stato fatto prima, in questo caso dalla cosiddetta “Buona Scuola”, senza porsi il problema di che cosa vada cambiato e che cosa no, e con quali strumenti. Molti di quelli che si occupano di scuola, io tra loro, hanno cercato di farlo, evitando di buttare via il bambino con l’acqua sporca.

Ma forse ci sarà una bozza più aggiornata. Non so se augurarmelo o temerlo.





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