SCUOLA/ Il colloquio finale, uno stimolo a ripensare tre anni di medie

- Nora Terzoli

Il colloquio dell'esame di Stato che chiude il primo ciclo di istruzione è l'occasione che permette di ricalibrare in chiave personale l'apprendimento. Come fare? NORA TERZOLI

scuola_studente_classe_smartphone_lapresse_2017 (LaPresse)

A qualche settimana dalla conclusione degli esami di Stato della scuola secondaria di primo grado, per la prima volta condotti secondo le novità previste dal decreto 62 e dalla normativa che ne è seguita, potrebbe essere interessante, anche a partire da quanto si è scritto di recente su questa rivista rispetto alle aspettative per la maturità del prossimo anno scolastico riflettere sulle novità che interessano il colloquio. Dalla prova orale infatti emergono alcune indicazioni utili per riconsiderare le finalità della scuola secondaria di primo grado.

L’esame, in continuità con il passato, non ha una valenza selettiva, ma piuttosto orientativa, è un’occasione per sintetizzare quanto si è appreso in una prospettiva di carattere interdisciplinare, come richiesto anche dalla normativa precedente. Si tratta comunque di un obiettivo ambizioso, che non è stato ancora completamente raggiunto.

L’approccio interdisciplinare deve infatti essere proposto nel tempo, non può essere improvvisato. Ancora troppo spesso si sentono nei colloqui espressioni del tipo: “Adesso mi collego a scienze”, con rimandi che sono semplicemente accostamenti, non espressioni di un sapere che cresce per approssimazione continua e che quindi ha bisogno di approcci molteplici per poter acquisire senso. Guidare gli studenti alla conoscenza, non lasciarli fermi sulla soglia dell’informazione, per la quale basta l’accesso alla rete, è un lavoro di équipe che un consiglio di classe deve programmare e verificare di continuo. Solo con questa attenzione è possibile comprendere che un contenuto di studio si può accostare da angoli prospettici molteplici, che sono quelli delle diverse discipline di studio. Il colloquio, con la relativa preparazione, è una preziosa occasione per favorire negli studenti un’esperienza di conoscenza che implica capacità di selezionare i contenuti, di organizzarli e sintetizzarli secondo un’ipotesi di senso che vada oltre il disciplinarismo, tentazione ancora molto forte nella scuola.

La valutazione del colloquio fa esplicito riferimento al livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze descritte nel profilo finale dello studente contenuto nelle Indicazioni nazionali. Si tratta dunque di valutare conoscenze e competenze in un intreccio armonico, che non perda di vista né le une né le altre. Una delle sfide più interessanti che la scuola ha davanti nei prossimi anni riguarda proprio la necessità di favorire l’acquisizione progressiva di competenze senza tralasciare il giusto bagaglio di conoscenze, forse trascurate negli ultimi tempi. Il superamento del nozionismo non può tradursi nella indifferenza dei contenuti. Si può imparare a imparare attraverso la lettura delle istruzioni per il funzionamento di un videogioco, ma non ha la stessa valenza culturale dello studio di un passo della Commedia di Dante. L’io, la sua domanda di senso, senza i quali non c’è propriamente un atto umano, non ne sono ugualmente coinvolti.

Nel corso del colloquio orale lo studente deve dare prova di saper argomentare, risolvere problemi e di saper esercitare un pensiero critico e riflessivo. Gli insegnanti sono dunque chiamati a favorire un approccio allo studio che metta continuamente in gioco la persona, la renda protagonista dell’apprendimento, in un superamento della didattica trasmissiva, che tende invece a favorire una modalità mnemonica e replicativa della conoscenza. Argomentare vuol dire mettere in azione la ragione, imparare a sostenere un punto di vista sulla realtà, è un obiettivo alto, degno di giovani uomini e di giovani donne, che si stanno affacciando alla complessità del reale e cominciano a dare un giudizio. Sanno argomentare solo uomini liberi e curiosi del reale.

Risolvere problemi vuol dire rifiutare un approccio semplicistico, replicativo, come accade nel triste rituale “dell’interrogazione fotocopia” in cui lo studente ripete quanto ha letto nel libro o quanto ha spiegato l’insegnante, in un meccanismo in cui l’io è assente, lontano. La scuola è chiamata invece a sostenere un pensiero riflessivo, in cui le conoscenze abbiano sempre a che fare con la persona, con i suoi desideri e le sue valutazioni sul reale.

Il colloquio d’esame non può allora ridursi all’esposizione di una “tesina” che accosta argomenti studiati a memoria, legati da una presunta interdisciplinarietà, secondo una consuetudine che è invalsa da tempo.

Occorre invece favorire un sapere implicato con l’io, che restituisca un reale percorso di apprendimento, legato alle attitudini che lo studente ha maturato nel triennio, in una forte prospettiva orientativa. Capita allora di vedere un ragazzo che presenta una tela sulla quale ha riprodotto Les demoiselles d’Avignon di Picasso e racconta che è arrivato a questa scelta perché non avrebbe potuto, con una semplice fotocopia a colori, spiegare tutto il potere innovativo di quest’opera e così ha pensato di dipingerla. È stato l’avvio di un colloquio in cui il candidato ha raccontato come si è appassionato all’arte figurativa e alla musica nel corso del triennio. Gli insegnanti sono intervenuti chiedendo approfondimenti, suggerendo accostamenti e promuovendo valutazioni personali. La prova orale è occasione da non perdere per rendere attuale il carattere orientativo della scuola secondaria e per dar prova della personalizzazione degli apprendimenti.

In un segmento breve, come è quello che una volta si definiva scuola media, la personalizzazione degli apprendimenti riveste un ruolo fondamentale, si tratta di dare a ciascuno opportunità per conoscere e crescere, cercando di valorizzare le inclinazioni, i talenti del giovane uomo e della giovane donna. Potrebbe essere la strada per uscire dalla noia e dalla demotivazione che troppo spesso riempiono le aule scolastiche. 

Il colloquio deve inoltre accertare i livelli di padronanza delle competenze di cittadinanza. Anche in questo caso si tratta di favorire una sinergia di conoscenze e competenze, per non ridurre il tutto alla conoscenza nozionistica di articoli della Costituzione o di altre leggi. Essere cittadini responsabili non equivale a conoscere le leggi di uno Stato.

La prova orale d’esame potrebbe essere il bozzetto di un intero triennio in cui si è lavorato in un corretto equilibrio tra acquisizione di competenze e conoscenze, personalizzazione degli apprendimenti e promozione di un’interdisciplinarietà che, in nome del principio di realtà, esce dalle strettoie del disciplinarismo. 

Si tratta di una sfida non facile, ma che è necessario raccogliere, per rendere attuale la vocazione orientativa della scuola secondaria di primo grado e per restituire alla scuola il suo compito di istruzione e formazione delle nuove generazioni.





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