WASHINGTON/ Dopo il primo dibattito presidenziale

- Dino D'Agata

WASHINGTON - DINO D'AGATA - Qualunque sia il risultato delle elezioni del prossimo mese, sin dal primo dibattito presidenziale di venerdì scorso, è stato chiaro che il prossimo presidente americano avrà molto da fare. Né John Mc Cain, né Obama sanno quale sia la più efficace soluzione alla crisi finanziaria e ci si chiede cosa stiano pensando tutti quegli ottimisti che, a suo tempo, ci rassicurarono che lo sfacelo dei mutui sub prime non avrebbe avuto effetti dannosi sull'economia. READ THE ENGLISH VERSION.

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Qualunque sia il risultato delle elezioni del prossimo mese, sin dal primo dibattito presidenziale di venerdì scorso, è stato chiaro che il prossimo presidente americano avrà molto da fare. Né John Mc Cain, né Obama sanno quale sia la più efficace soluzione alla crisi finanziaria e ci si chiede cosa stiano pensando tutti quegli ottimisti che, a suo tempo, ci rassicurarono che lo sfacelo dei mutui sub prime non avrebbe avuto effetti dannosi sull’economia. Nel frattempo, la Camera ha mandato un chiaro messaggio alla Casa Bianca che un salvataggio incondizionato di Wall Street non sarebbe passato tanto facilmente, soprattutto ad opera di quei repubblicani che non vogliono più essere identificati  con Gorge Bush. E infatti il salvataggio è passato solo pochi giorni fa .  

Durante il dibattito dello scorso venerdì comunque, McCain ha assunto un atteggiamento  paternalistico di fronte a quella che considera una mancanza di esperienza di Obama, citando le sue affermazioni in pubblico su come agire in Pakistan, insieme alla sua intenzione di sedersi al tavolo con l’iraniano Mahmoud Ahmadinejad senza nessuna condizione preventiva come dimostrazione di una sorta di rudimentale idealismo. Sicuramente Obama può avere una certa ingenuità quando si tratta di esperienza politica vera e propria, ma le sue risposte erano tranquille dato che, nonostante la guerra in Iraq, l’amministrazione attuale non è ancora riuscita a portare in tribunale i veri responsabili dell’ 11 Settembre, sette anni dopo l’attacco, con una  incapacità pakistana a contenere gli elementi estremisti , sia prima che dopo Musharaff , che desta sempre più dubbi .

Per quanto riguarda i temi più nascosti, come il diritto alla vita, dalla culla alla tomba, la libertà religiosa e la libertà di educazione, si seguono le linee abituali: McCain è per i voucher alle scuole private, cioè per la libertà dei genitori nell’educazione, mentre Obama come molti liberals democratici, è in favore dell’investimento nei distretti scolastici in difficoltà per portarli a livello, con la conseguenza che  i genitori  in difficili condizioni e i loro figli rimarrebbero così senza reali alternative alle scuole di livello più basso. Uno si chiede tuttavia, se i repubblicani non abbiano mancato l’obiettivo della loro legge  “No Child Left Behind” che, nel tentativo di scavalcare le radicate burocrazie scolastiche, ha posto alle singole scuole richieste quasi impossibili da realizzare, malgrado la legge fosse stata approvata con una schiacciante maggioranza bipartisan e nonostante fosse chiaramente a sostegno della libertà di scelta nell’educazione.

Se è probabilmente vero che McCain ha una  posizione favorevole al diritto alla vita e alla libertà di religione (pensiamo a che tipo di sanzioni economiche  i governi federale e statali potrebbero  imporre a gruppi religiosi che gestiscono servizi sociali, ma che hanno una posizione pro life o che sono contro la ricerca sulle cellule staminali, per non parlare del potere che potrebbero usare contro le scuole religiose che si rifiutano di condividere, sulla base del loro credo, cose come il matrimonio fra gay), è fastidioso però notare come le sue dichiarazioni sulle minacce dell’Iran a Israele siano reattive e faziose quanto quelle della Pelosi sul piano di salvataggio proposto dal governo. Ancora, la strategia repubblicana in Iraq non sembra finora aver migliorato la situazione nei confronti dell’estremismo islamico, come dimostra l’attentato al Marriot Hotel  a Karachi. Ci vorrà qualcosa di più delle maniere forti americane per raggiungere una giusta soluzione al problema arabo – israeliano, qualcosa che entrambi i candidati devono forse elaborare con maggiore decisione.

Il primo dibattito è stato semplicemente un tentativo di McCain di fornire ai repubblicani un  argomento convincente  di fronte a un concorrente democratico che potrebbe facilmente giocare sui loro fallimenti? Gli americani sceglieranno Obama  semplicemente perché stanchi di una politica fallita in Iraq e disgustati dalla fretta di Bernanke e Paulson di salvare un manipolo di milionari che hanno giocato d’azzardo con l’ economia americana per il loro guadagno? Una volta che il piano sarà necessariamente approvato e, si spera, l’economia salvata, il ricordo di questo periodo rappresenterà un fattore rovinoso per i repubblicani nei prossimi trenta giorni?

Sarebbe ingenuo per chiunque, a questo punto, sostenere l’idea che Obama possa vincere salvando gli Stati Uniti e il mondo dai fallimenti repubblicani. E se McCain porta il peso dei suoi stessi errori, mentre cerca di evitare di essere identificato con quelli dell’attuale Amministrazione, e sia lui che la sua compagna di corsa, Sarah Palin, dovranno dimostrare di essere qualcosa di diverso da semplici reincarnazioni della dottrina Bush, anche Obama dovrà proporre qualcosa d’altro oltre il tentativo di appropriarsi della parola “speranza”, in una sorta di finta escatologia che può solo parodiare, come fa sempre la politica, ciò in cui invece la speranza potrebbe essere realmente riposta.





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