Pechino: oltre lo sfarzo delle Olimpiadi il dramma di 1,5 milioni di persone senza più casa

- La Redazione

La capitale cinese ha cambiato volto, ma per la popolazione le condizioni non sono migliorate: manca l'acqua, case e terreni sono stati espropriati, si temono attacchi terroristici. E il governo inasprisce la censura

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Manca meno di un mese all’apertura delle Olimpiadi, inizio fissato alle 20.08 dell’8 agosto 2008. Pechino sfoggia una facciata nuova di zecca e il governo cinese esibisce con orgoglio i passi avanti compiuti in questi anni, dichiarandosi «pronto» al grande evento. Per il presidente Hu Jintao la Cina «ha fiducia di poter soddisfare la comunità internazionale, gli atleti da diversi Paesi e regioni e il popolo cinese».
Ma dietro le sfilate di studenti volontari preparati ad accogliere i visitatori e ai tappeti d’erba srotolati lungo i viali per abbellire la capitale, si nasconde un abisso fatto di diritti umani calpestati, mancanza di risorse idriche, interi villaggi espropriati delle terre e un’aria irrespirabile per la cappa di inquinamento che incombe sulle città.
Tutto, ovviamente, nascosto e messo a tacere dalla censura, più aspra che mai. Ai dissidenti di Shanghai viene tolto diritto di parola con i giornalisti esteri dal 1° aprile a fine ottobre, insieme al divieto di lasciare la città, protestare o fare petizioni al governo. E sono più di cinquanta, fra attivisti, avvocati in difesa dei diritti umani, giornalisti, le persone arrestate  e condannate. Ad altri sono stati consigliati gli arresti domiciliari “volontari”: tra questi anche alcuni sacerdoti della Chiesa sotterranea a cui è stato suggerito di sparire fino alla fine delle Olimpiadi.
I giornalisti stranieri saranno “rinchiusi” nella Versailles pechinese: il Main Press Centre, un edificio disposto su tre livelli multipiano, che ricopre un’area di 62mila metri quadrati; a cui s’aggiungono il centro televisivo internazionale e l’International Media Centre riservato a chi non ha ottenuto l’accredito. Naturalmente comprensivi di ristorante aperto 24 ore, palestra e centro benessere.
Così Pechino, all’insegna del motto “One world one dream” (un unico mondo un unico sogno) che sventola sugli striscioni in tutta la città, tenta di far dimenticare alla stampa internazionale la rivolta tibetana scoppiata a marzo e proseguita fino alla fine di maggio. Da un lato il governo cinese ha ripreso, sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale, i colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama, in esilio in India dal 1959, chiedendogli però di «rinunciare al secessionismo» e a «sabotare le Olimpiadi»: il leader tibetano ha ribattuto di aver già fatto entrambe le cose e ha chiesto a Pechino un atteggiamento costruttivo. Dall’altro, oltre mille monaci tibetani sono rinchiusi in carceri lontani da Lhasa, dopo essere stati portati via dai tre principali monasteri della regione, e vi resteranno, secondo quanto riferisce “The Times”, fino alla fine dei Giochi. Una misura ufficialmente presa «per stroncare ogni segno di dissenso durante le Olimpiadi». Intanto il movimento Studenti per un Tibet libero (Sft) e altri 150 gruppi pro-Tibet hanno chiesto agli atleti olimpici di parlare del Tibet, attraverso la campagna “Athlete Wanted”, indossando simboli del Tibet e rilasciando interviste, per spaccare il muro di indifferenza che sta calando sui fatti dei mesi scorsi e rilanciare i Giochi come occasione di vera fratellanza.
Non solo ai monaci tibetani, ma a gran parte della popolazione cinese le Olimpiadi stanno costando caro. Nei villaggi infatti la gente è stata cacciata dalle proprie case e circa 100 mila ettari di terreni sono stati espropriati: il governo cinese, incurante dei diritti all’abitazione, prosegue con questi metodi una politica di sviluppo che porterà alla costruzione di nuove fabbriche, centrali elettriche, abitazioni di lusso. In un video, filmato di nascosto e diffuso in rete da China Digital Times, viene ripreso l’assalto da parte di un capo villaggio e alcuni picchiatori di un gruppo familiare che si rifiuta di abbandonare la propria casa, in seguito demolita. E a Pechino, per costruire nuovi edifici olimpici e monumenti urbanistici, circa 1,5 milioni di persone hanno visto la propria casa sequestrata e demolita, ricevendo, nei casi più fortunati, una misera ricompensa.
Mentre Pechino si concentra su provvedimenti per non “sfigurare” di fronte agli ospiti occidentali –  come il divieto di inserire la carne di cane nei menu dei ristoranti –  e cinge d’assedio la capitale con 40 mila poliziotti, 27.500 armati, 10 mila guardie di sicurezza, 300 guardie anti-terrorismo, 15 mila volontari della guardia civile e i missili terra-aria «Bandiera rossa numero 7», già puntati contro il cielo, per prevenire attacchi terroristici da parte dei separatisti musulmani uiguri, dei “terroristi” tibetani e degli estremisti evangelici, la vita quotidiana per la popolazione si fa sempre più dura. Infatti le risorse idriche, già scarse, saranno utilizzate per fornire l’acqua ai visitatori e abbellire Pechino. Oltre i due terzi dell’acqua della capitale sono pompati da bacini sotterranei e dal 2004 sono attinti anche quelli profondi più di un chilometro considerati una riserva di emergenza. Inoltre l’acqua viene prelevata dall’Hebei, tramite un enorme canale scavato per le Olimpiadi, ma la provincia soffre di siccità da anni. Intanto nelle acque interne si diffondono a macchia d’olio le alghe, a causa delle sostanze nutritive portate dall’inquinamento industriale, dell’ampio uso di nitrati nell’agricoltura e dei rifiuti cittadini. Così mentre un quarto della popolazione manca di fonti d’acqua potabile, sul bacino di Qingdao migliaia di lavoratori e volontari faticano da giorni per eliminare le alghe che comprometterebbero le gare olimpioniche di vela. Anche i valori dell’inquinamento atmosferico rimangono elevati, malgrado le misure adottate dal governo: dal 20 luglio al 20 settembre nella capitale le automobili private circoleranno a targhe alterne ed entro fine luglio saranno pronte altre tre linee metropolitane. Ma l’aria rimane irrespirabile.
Ormai la popolazione cinese non guarda più alle Olimpiadi come un’occasione di rilancio economico: 20 miliardi di euro sono stati spesi per dare della Cina un’immagine di paese in grande ripresa, ma senza che le condizioni dei più poveri siano migliorate. E anche per il turismo le prospettive non sono buone: tra calamità naturali e violenze istituzionali, i 2 milioni di visitatori previsti sono calati a quota 500 mila, anche per la difficoltà a ottenere i visti e le complicazioni burocratiche messe in atto dal governo per controllare meglio la situazione durante le Olimpiadi.







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