TAGLI/ Missioni all’estero, il prezzo (caro) di “sopravvivere” senza un perché

- Robi Ronza

Le missioni militari italiane all’estero sono un problema politico controverso. Il governo ha deciso di ridurle. Fa bene o fa male? Il commento di ROBI RONZA

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Quella della morte in servizio di un militare appartenente a un reparto in missione all’estero non sarebbe affatto la circostanza più opportuna per trattare del problema di tali missioni. È infatti un momento di lutto, ossia un momento nel quale è o sarebbe giusto che si lasciasse il passo soltanto alla compassione per i familiari del defunto e alla meditazione del mistero della morte. Purtroppo però le nostre missioni militari all’estero fanno notizia solamente in tali occasioni, e sempre per poco tempo. Per esigenze di cronaca dobbiamo dunque risolverci a parlarne adesso, subito dopo che un altro nostro militare ha perso la vita in Afghanistan.

Almeno in questo caso tuttavia non si può dare soltanto alla stampa la colpa di tanto strabismo. Alla radice dello scarso interesse dell’opinione pubblica italiana per tali missioni c’è qualcosa di più sostanziale: tutti avvertono o in vario modo intuiscono che sono frutto di decisioni episodiche, prese per motivi tra loro anche diversissimi e al di fuori di qualsiasi serio progetto di politica estera.

Attualmente queste missioni sono 29, impegnano 7.224 militari (tra cui anche un certo numero di donne-soldato) e per quest’ anno ci sarebbero dovute costare la bellezza di 900 milioni di euro, ma si andrà ben oltre sia per il protrarsi dei bombardamenti in Libia, sia per i costi crescenti della missione in Afghanistan. Non ne riprendo l’elenco qui perché è facilmente reperibile via Internet.

Consiglio ad ogni modo di andarselo a vedere: nella maggioranza dei casi si tratta di veri e propri relitti di missioni dell’Onu che talvolta da anni e talvolta da decenni sopravvivono senza grande utilità al momento di crisi che fu lo spunto per il loro invio. In molti di questi casi anche il proverbiale addetto ai lavori fatica a ricordarsene l’origine. Poi ci sono le missioni a fini di addestramento di militari locali, spesso di piloti e altro personale chiamato all’impiego di velivoli da combattimento comprati in Italia.

Le tre missioni più ingenti in termini sia di personale impiegato che di costo sono rispettivamente quelle in Afghanistan (4.200 militari e 380,7 milioni di euro già spesi nel primo semestre del corrente  anno); nel Libano (1.780 militari, 102,2 milioni stanziati per il corrente anno); in Bosnia (650 militari, 35,7 milioni di euro). Poi c’è la guerra contro la Libia di Gheddafi, classificata anch’essa come missione militare di pacificazione all’estero anche se non è tale da nessun punto di vista. Per questa “missione”, che implica 7 basi aeree, 12 caccia-bombardieri e 4 navi,  sono già stati stanziati 150 milioni di euro.

In particolare la missione in Afghanistan costa una valanga di soldi, a causa di quel che si deve spendere per rifornire di ogni cosa l’equivalente di una brigata in linea a migliaia di chilometri dall’Italia. Non ci soffermiamo sul caso dei bombardamenti in Libia poiché sull’insipienza sia politica che militare di questa iniziativa abbiamo già ampiamente parlato ne Ilussidiario.net in più occasioni. Su forzature recentissime al riguardo da parte di cosiddette “alte cariche dello Stato” non facciamo commenti per carità di patria. Però non ci devono venire a dire che continuare a partecipare a questi bombardamenti è “una questione di serietà dell’Italia nei confronti del mondo” perché per esempio c’è un Paese serissimo, la Germania, membro importante della Nato e anche principale membro dell’Unione Europea, che si è da subito rifiutato di partecipare all’attacco alla Libia. E nessuno ci trova niente da dire né di qua né di là dall’Atlantico.

In quanto poi all’Afghanistan siamo andati a farci carico per quanto potevamo (poco in valore assoluto ma troppo in valore relativo) del difficile dopoguerra di una guerra strategicamente sbagliata, alla quale peraltro non avevamo partecipato; e senza ci venisse riconosciuta la minima voce in capitolo al livello politico della questione. A noi sembra che sia una buona regola quella di non andare a infilarsi nel dopoguerra di guerre volute da altri. Se però proprio ci si voleva andare almeno si sarebbe dovuto pretendere un ruolo anche a livello politico, tra l’altro a maggior garanzia dei nostri militari sul campo.

Mentre scriviamo sembra che il governo (salvo colpi di scena prossimi venturi) abbia concordato una razionalizzazione delle missioni che dovrebbe risolversi in una riduzione complessiva del loro organico pari a oltre 2mila unità. Questo è meglio di niente, ma resta aperto il problema di fondo. Le missioni militari all’estero hanno senso nel quadro di un disegno organico di politica estera. Se questo disegno non c’è, in linea di principio sono tutte inutili.

Resta poi da risolvere una questione modesta ma concreta: per i nostri militari il periodo di servizio in missioni all’estero – durante il quale il loro stipendio ordinario si moltiplica per quattro, per cinque, per sei o anche più – è ormai divenuto la grande occasione di risparmio, di accumulo per l’acquisto della casa o per altre spese straordinarie. Anche per questo far scomparire dalla scena le missioni all’estero, o anche ridurle in modo molto rilevante sarà in ogni caso molto difficile.

 

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