ALGERIA/ Fouad Allam: la Francia deve chiedere perdono per provare a chiudere le ferite della storia

- int. Khaled Fouad Allam

Il presidente francese è in Algeria per la sua prima visita ufficiale nell'ex colonia francese. Il problema del perdono storico: lo spiega KHALED FOUAM ALLAM

hollandenuova_R439 François Hollande (Infophoto)

Il presidente francese Hollande è protagonista di una visita già definita storica in Algeria. La grande ferita che separa infatti la Francia dalla sua ex colonia è sempre aperta: per alcuni osservatori questa, dopo il fallimento di tutti gli altri presidenti francesi, potrebbe essere l’occasione per una autentica riconciliazione fra i due Paesi. Khaled Fouad Allam, giornalista e politico algerino, spiega a ilsussidiario.,net che non è detto che questo avvenga neanche questa volta. “Hollande avrebbe già detto ancora prima di partite per l’Algeria che non ha intenzione di chiedere scusa, ma staremo a vedere”. Per Allam è però necessario che non solo un presidente, ma una intera società facciano questo passo: “La dominazione francese in Algeria è stata una delle più violente e sanguinarie che si ricordano nell’intera storia del colonialismo: chiedere perdono è un dovere nei confronti della storia altrimenti si rimarrà sempre con una ferita aperta”.

Una riconciliazione impossibile o possibile quella tra Francia e Algeria? Perché da parte francese non sono mai venute scuse ufficiali al suo paese? Non si cancellano facilmente 140 anni di dominio e di sistema coloniale molto duro come è stato quello francese in Algeria. Ci sono ferite molto profonde tutt’ora aperte. Il problema del perdono nella storia  non si ottiene fino a quando non si affrontano questi rapporti in modo chiaro. Così si rimane condannati a vivere sempre una relazione di odio e amore.

Anche Hollande sembra continuare nella scia dei suoi predecessori: “Non sono venuto qui a pentirmi o a chiedere scusa. Il passato non ci impedisca di lavorare per il futuro” ha detto. E’ un problema molto profondo ma è necessario affrontarlo. Hollande ha fatto un passo positivo andando in Algeria perché comunque questi rapporti sono scritti nella storia della Francia. Teniamo conto che negli stessi partiti politici francesi ci sono oggi alcuni dei figli di quegli algerini che morirono nella guerra di Algeria.

Impossibile dunque ignorare il passato? Impossibile. Altrimenti si rimane in una zona grigia indefinibile che non fa bene a nessuno. Ci sono esempi positivi che emergono comunque in Francia, in cui si assiste poco a poco a riconoscere alcuni elementi di grande rilevanza.

Ad esempio? Penso alla manifestazione dell’ottobre 1961 dove vennero uccisi centinaia di algerini che lavoravano in Francia o anche il massacro del 1945. Dunque se non si apre questo varco della storia resta difficile un rapporto limpido con la Francia.

Che cosa ha significato l’Algeria per i francesi, che comunque avevano un impero coloniale secondo solo a quello inglese? L’Algeria era una colonia vera e propria, non come ad esempio Marocco e Tunisia che erano dei protettorati in cui la cultura e le autorità locali rimanevano al loro posto, ad esempio il sultano del Marocco che continuava a reggere il Paese. L’Algeria divenne un dipartimento della Francia proprio come i territori d’oltremare, e dunque un pezzo stesso della Francia. La guerra ha strappato alla Francia quello che considerava un suo territorio. 

Ecco perché il tentativo di una repressione tanto cruenta. Ci sono cose che molti ancora non sanno. Gli algerini furono costretti a una deportazione di massa, la stessa famiglia di mia madre nell’800 venne deportata in Siria. Altri vennero deportati nelle isole del Pacifico. Anni fa il sindaco di Algeri invitò un sindaco della Polinesia perché era discendente di algerini deportati in quelle isole. 

Ma ci furono aspetti positivi in tutto questo dramma? 

Ci furono. Penso ad esempio alla presenza della Chiesa cattolica che fin da subito si schierò a sostegno dei più poveri dando grande testimonianza di solidarietà nei loro confronti. Penso al fatto che senza la presenza francese grandi storici, scrittori e filosofi non avrebbero avuto la possibilità di esprimersi, di formarsi culturalmente. L’Algeria poi grazie anche all’epoca coloniale ha riscoperto il suo passato, pensiamo a una figura come Sant’Agostino. La dominazione francese è stata deleteria sotto l’aspetto sociale.

E’ vero che gli algerini residenti in Francia avrebbero votato in massa per Hollande alle recenti elezioni presidenziali? E’ difficile stante la presente crisi della politica dire chi vota a destra o a sinistra in Francia. Certamente ci può essere stato un voto di protesta verso Sarkozy che come si sa aveva instaurato una politica di chiusura all’immigrazione e anche alla concessione della cittadina francese agli immigrati. Hollande si è espresso  verso una politica di trasparenza nei confronti degli immigrati e questo può avergli fatto prendere i voti di queste persone.

Come è oggi il clima in Algeria dopo la devastante esplosione del terrorismo degli anni novanta? Il governo ha vinto la guerra civile contro il terrorismo islamico.  Rimangono dei residui in alcune zone in direzione del Sahara. Va detto che la popolazione algerina si è schierata nella sua maggioranza contro il terrorismo. Ricordo che quando ero studente all’inizio degli anni ottanta queste formazioni terroristiche godevano di un ampio consenso politico da parte di molti, poi l’esperienza ha fatto capire che  il Corano non dà da mangiare.  L’estremismo radicale islamico era fatto da gruppi che assomigliavano di più ai gruppi anarchici nella Russia precedente la rivoluzione bolscevica. Nonostante questo non si può dire che siano scomparsi del tutto.

E la primavera araba, che effetto ha avuto in Algeria? 

Proprio per il ricordo di quegli anni sanguinosi non si è assistito in Algeria a un effetto domino come negli altri paesi del nord Africa. Quel ricordo frena ogni tipo di rivendicazione politica, restando il fatto che la democrazia algerina è sicuramente perfettibile.

Fenomeni come i Fratelli musulmani in Egitto sono presenti nel suo paese? E’ proprio questo il punto, la nascita anche in Algeria come in Egitto di un nuovo tema. Si assiste alla nascita di movimenti fondamentalisti che non sono più terroristi ma che in questo modo entrano nelle istituzioni. Va distinto dal radicalismo islamico  di tipo eversivo e terroristico, è un nuovo  approccio alla questione politica da parte dell’Islam perché entra nelle istituzioni, è la grande novità del mondo arabo. Questo ci riserverà delle sorprese, che piacciano o meno. Ne parlo nel mio nuovo libro in uscita a gennaio, “Avere 20 anni a Tunisi e al Cairo, letture delle rivoluzioni arabe”.

Pensa che questo fondamentalismo politico si potrà evolvere in modo democratico? Solo se saprà affrontare i tre grandi temi dei paesi islamici: il rapporto fra democrazia e identità religiosa, con le minoranze religiose soprattutto del Medio oriente, la libertà di religione che non esiste oggi nei paesi islamici e il rapporto  fra uomini e donne. Sono questi i grandi temi da risolvere.





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