DIARIO BURUNDI/ Nel dolore della piccola Christine, il senso della Pasqua

- La Redazione

I giorni del triduo pasquale in Burundi, dove opera e lavora CHIARA MEZZALIRA, medico. Il dolore non è obiezione al senso della vita, ma condizione, data per grazia, di viverlo e affermarlo

burundi_bambini_r439 Foto InfoPhoto

Carissimi tutti,
sono più di due mesi che non mi faccio viva. La vita è stata molto intensa e alla sera non avevo le forze di aprile il computer e scrivere.

Comincio dalla fine. Questi due giorni del triduo pasquale. Al mattino ho lavorato, ma il pomeriggio ho deciso che dovevano essere “per Te, mio Signore”, almeno qualche ora, visto che in questo periodo era stata tutta una grande corsa. Sono andata con Sr. Bruna al carcere maschile. La liturgia è iniziata alle 3 del pomeriggio. Messa in Cena Domini, con i carcerati che hanno cantato in retto tono, in Kirundi, la Passione di Gesù, a tre voci, lettore, i personaggi e Gesù, cantato dal sacerdote, poi la lavanda dei piedi. Avevo negli occhi il volantone di Pasqua di cui mi aveva colpito lo sguardo di Gesù a Pietro. Don Gian Battista non li guardava negli occhi, ma intento a lavare i piedi (sono carcerati…) tenendoli con una delicatezza che era pieno dello stesso sguardo. Il giorno dopo gli ho portato il volantone di Pasqua, don Gian Battista ha detto: è bellissimo. 

Venerdì la liturgia dell’adorazione della Croce. È venuto a celebrarla insieme a don Gian Battista, il Vescovo, invitato da Mama Janine, un’anziana suora francese in Burundi da più di 50 anni, che ha sempre seguito le carceri. MI ha colpito ancora il canto, con le voci maschili, composto, cosa strana per l’Africa, la preghiera universale mi è sembrata di un’intensità nuova, segno dei tempi, Cristo presente qui ed ora, per il Papa, per l’unità dei cristiani, per chi non credendo in Dio ha una domanda nel cuore, per i governanti. 

Non capisco molto di cosa succede in Italia, ma anche qui si stanno preparando per le elezioni del 2015, e da ultimo per i bisognosi i malati, i prigionieri (erano lì), chi è lontano da casa (mi sono sentita dentro anch’io), i moribondi… mi passavano davanti agli occhi i volti di chi incontro tutti i giorni in questa realtà. Sapendo che veniva il Vescovo, che avevo cercato per andare a fargli gli auguri, ho portato lì il volantone di pasqua, un biglietto di auguri e una piccola offerta. È stato molto cordiale e ci ha accompagnate a casa. 

Oggi, sabato mattina, un momento di pausa per pensare a voi. Dall’ultima volta, in cui vi avevo raccontato della visita a Buta nel seminario dei piccoli martiri burundesi, esperienza commovente che mi porto ancora nel cuore, sono successe molte cose. Sono riuscita a ricordare il Don Giuss e la fraternità di Cl alla messa del 21 febbraio in parrocchia, coinvolgendo il vice parroco. Gli avevo dato dei documenti su Cl e l’omelia di Ratzinger ai funerali. Alla messa Abbe Revocat inizia dicendo che oggi è una festa speciale perché “abbiamo qui gli amici del movimento di Cl”, tutti quelli del coro si girano, anch’io mi giro… ci sono solo io (ho pensato: don Giuss, però io ci sono!) poi dice chi è don Giuss, dove è nato, dove e quando è morto e che Cl educa alla fede. Subito mi sono commossa, qui oggi. 

All’omelia, commentando il vangelo del giorno, Matteo 8, quando dice “chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perde la propria vita la salverà”, ha commentato citando l’omelia di Ratzinger, dicendo che don Giussani veramente non ha guardato la propria vita, ma l’ha data, poi ancora ha attraversato la valle oscura e l’ultimo periodo della malattia. Alle intenzioni, ricordando che avevo letto che Scola nell’omelia in Duomo aveva ringraziato e lodato Dio per la nostra presenza nel mondo, ho iniziato ringraziando Dio e la comunità parrocchiale perché quest’anno per la prima volta anche in Burundi possiamo celebrare l’anniversario del Giuss e di Cl. 

Alla fine della messa dopo la benedizione il celebrante ha ancora ricordato Cl e ci ha augurato buona festa. Dopo la messa lo abbiamo ringraziato, intanto erano arrivate Benedetta; Nadine, studente infermiera che era stata con noi a Kampala alla giornata di inizio anno con Carrón, Sr. Alice, anche lei studente infermiera, che ha fatto il tirocinio in pediatria e le tre sorelle della Misericordia con cui lavoriamo in Ospedale. Poi Sr. Giliapia, Sr. Bruna e Sr. Costancia hanno invitato Benedetta e me a casa loro a prendere il tè con i biscotti che avevano appena fatto “per festeggiare”. Le prime tre settimane di marzo sono stata impegnata con il corso di Pediatria e Neonatologia all’Istituto Universitario di Scienze Infermieristiche, ultimo anno. Il preavviso è stato di due giorni. Non è stato semplice. Non essendo abituata a insegnare sistematicamente, non mi ero resa conto di quale impegno comportasse e d’impeto avevo detto che ero disposta e mi interessava.

Avevo delle lezioni e corsi fatti a Lagos, ma in inglese, qui serve il francese, i protocolli a volte un po’ diversi, poi degli argomenti un po’ nuovi e soprattutto il desiderio che attraverso le lezioni gli studenti potessero incontrare un affronto della realtà totale ed un amore al loro lavoro ed al malato da servire. Così al mattino avevo la scuola, e usavo il pomeriggio e la notte per preparare le lezioni, cercando in internet articoli in francese (i francesi proprio non mi piacciono!) e Google traduttore per gli accenti e varie, stando attenta che il traduttore non traduca una cosa per un’altra… Ho detto al direttore dell’ospedale che non riuscivo a venire lavorare, ed è stato d’accordo di lasciarmi andare ad insegnare. 

Insegnare mi piace molto ed è una grande occasione di rapporto e di provocazione al senso delle cose. Loro non sono abituati a ragionare, non hanno libri, internet c’è, ma non sempre funziona, non sono molto agili, quindi a lezione copiano le diapositive, non riescono a seguire quello che dici, allora io mettevo molte immagini e parlavo, poi facevo domande ed il giorno successivo si doveva fare il punto sulle cose dette. Vedremo all’esame (che devo ancora preparare!). 

Con Benedetta, per la sua tesi, abbiamo appena finito una serie di piccoli corsi, tutti per migliorare l’assistenza al neonato in sala parto, cose semplici, ma rivoluzionarie, a piccoli gruppi per gli studenti infermieri che stanno facendo il tirocinio in ospedale e per il personale della maternità e neonatologia. L’ultimo corso, molto pratico: “Aider les Bébés à Respirer, la minute d’ore”, il primo minuto della vita, con i bambolotti e l’ambo per ventilare. Sono venuti anche due medici e gli anestesisti. 

Abbiamo fatto l’esame alla fine, con valutazione pre e post. Mi ha colpito che qualche giorno fa la vice direttore, che segue l’aspetto medico dell’ospedale, mi abbia chiesto di seguire soprattutto la formazione, che il dr. Ngandi della maternità le aveva riferito del corso, era stato molto bello ed utile, poi si riferiva anche al corso che avevamo fatto sul senso del lavoro e del malato come persona (con gli amici del centro di educazione permanente dell’Uganda).

Un fatto importante, che mi ha messo un po’ alla prova, è stata la visita del professore di Verona per una settimana. Abbiamo il nuovo ospedale della mamma e del bambino. La struttura è finita, manca tutta l’attrezzatura ed io sottolineo che manca anche tutto il personale. Il prof è giustamente molto preoccupato di reperire fondi per attrezzarlo. Ci siamo un po’ scontrati sul metodo, io sono qui, magari vedo in modo più miope, ma sicuramente più realistico. Qui comunque la cosa più affascinante è la sfida di lavorare insieme a persone così diverse, che non sono solo i burundesi, ma anche tutti i collaboratori, compreso il referente per il lavoro. Mi ha messo alle strette per chiedermi cosa significa seguire il mio cuore, senza trascurare nulla della realtà in cui un Altro mi ha immersa, che sa che ci sono i burundesi, ci sono i medici di passaggio, ci sono i prof. 

Durante la visita del prof. c’è stata anche la visita di Antonella, una responsabile della Don Gnocchi per il progetto e servizio di kinesiterapia. In questo periodo non c’è Silvia, la fisioterapista spagnola, che durante la sua vacanza in Spagna si è rotta una gamba e tornerà a giugno. 

Aspettiamo per un mese dei rinforzi, con Luisa, una nostra amica italiana. Il secondo giorno della sua visita, Antonella è inciampata in una griglia di ferro sporgente, cadendo di peso su un’altra griglia (le famose barriere… qui per i canali dell’acqua durante le piogge). Si è fratturata la testa dell’omero. Gli imprevisti e le urgenze in Africa non sono mai una cosa bella e subito mi è venuto in mente l’incidente di Fabio, il nostro amico dell’Avsi Congo. Così si sono messi in moto rapporti di ortopedici, assicurazione, biglietto aereo per decidere se ritornare subito in Italia… in questi casi meno si resta qui meglio è. Mi ha colpito tantissimo Antonella, il suo coraggio, ma soprattutto la sua accettazione di quello che era successo, che aveva completamente stravolto i suoi piani, compreso il dolore fisico. A partire da quello che le era successo si era interrogata sul bisogno degli altri, ed aveva in mente i pazienti della Don Gnocchi. Siamo riuscite, lei con coraggio viaggiando sa sola, a farla ritornare a casa il giorno dopo, l’ho accompagnata a Bujumbura, era chiara la priorità, gli studenti potevano aspettare un giorno.

Vi volevo anche raccontare di una riflessione fatta. Avevo letto in un pezzo dei nostri esercizi: “Che cosa ha dominato in te quando ti sei svegliata? Perché il risveglio mette davanti a noi chi siamo, cosa attendiamo, cosa prevale come contenuto della coscienza”. Mi sono un po’ spaventata di fronte a questa domanda, perché il mattino mi mette un po’ di ansia, alzarsi, la messa delle 6, tornare a casa, cambiarsi per l’ospedale, preparare e fare colazione ed essere puntuali alle 7.30 in reparto per l’incontro del mattino con lo staff, il passaggio di consegne e la discussione dei casi. Un momento interessante, ma sempre… drammatico (i bambini morti, perché? quelli in coma, cosa hanno? Quanti nuovi ricoveri…). 

Mi era chiaro che “senza di Lui che senso ha svegliarsi?  Lui che come Vir Pugnator, ha stabilito una lotta per l’invasione della mia esistenza”. Quella mattina mi domandavo come Lui avrebbe fatto ad invadere la mia esistenza, come si sarebbe fatto vedere. Mentre stiamo andando a Messa con Benedetta e attraversiamo l’ospedale, non c’era nessuno, ad un certo punto vediamo un travailleur correre dal laboratorio verso la maternità con una sacca di sangue sotto il braccio (un modo per riscaldare il sangue che viene dal frigorifero). Qui non corre mai nessuno, non c’è il senso dell’urgenza, in quei giorni erano morte un sacco di mamme dei nostri neonati, due erano arrivate già morte in ospedale. Con Benedetta ci siamo guardate, sarà per una nostra mamma! Improvvisamente mi sono venute le lacrime agli occhi, ed ancora oggi a ripensarci, e mi sono detta: sei tu Gesù che vieni in soccorso di questa mamma, per farmi vedere che anche qui un travailleur al mattino presto può correre. Non è tutto uguale. Questa mattina Tu ti sei fatto vedere in quell’uomo che correva con quella sacca di sangue. Senza di Te che senso ha svegliarsi. Ho pregato: fatti vedere ogni giorno, al mattino, ma anche durante la giornata.

Ieri dopo la liturgia della Croce sono andata in terapia intensiva a trovare la piccola Christine, che è vicina, senza saperlo, a Gesù in Croce. Christine ha tre anni, con un brutto sarcoma che non sono riusciti a toglierle, non c’era nulla da fare. E’ ricoverata da più di un mese e da quando Vanya, la nostra anestesista è in Italia, va Benedetta a trovarla, io qualche volta. La sua presenza ha interrogato molto noi e anche alcune studenti infermiere su cosa volesse dire la sofferenza. Si pensa sempre che il nostro compito siano le medicine, magari l’alimentazione, ma cosa significa stare di fronte alla nostra impotenza, al mistero della Sua presenza anche nell’accompagnare alla morte, è un grande mistero anche per noi. Ne abbiamo parlato tra di noi. Mi sono venute alla mente tutte le cose che il don Giuss ci ha insegnato, le lettere sul dolore di Mounier, gli orfanelli di don Gnocchi; e leggere oggi delle 19 ore del piccolo Giacomo, al Sant’Orsola di Bologna… una presenza che stravolge i tuoi piani e può cambiare un reparto, Lui viene prima se lasci che sia Lui a determinare tutto. Non so se è questo il capovolgimento di metodo, ma Lui sorprende sempre. Quando esci dal reparto lasci la mamma nel letto con la piccola Christine, che a tre anni succhia al seno, la sua compagnia. Come diceva santa Teresina del Bambino Gesù, il cuore di mamma fa quello che tutti i medici non sanno fare. 

Colgo l’occasione anche per ringraziare gli amici pediatri che hanno utilizzato un loro convegno per raccogliere fondi per i nostri bisogni estemporanei. Auguro a tutti una Buona Pasqua. Non dimenticatevi del Burundi. Io vi penso, anche se ho scritto poco. Grazie,

Chiara Mezzalira





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