RISIKO/ Petrolio & missili, gli argomenti di Pechino contro Vietnam e Taiwan (e Obama)

- Carl Larky

L’installazione di batterie missilistiche cinesi in una delle isole contese nel Mar Cinese Meridionale ha fatto innalzare improvvisamente la tensione in tutta l'area. CARL LARKY

guerra_missileR439 Terza Guerra Mondiale (Infophoto)

La tensione nel Mar Cinese Meridionale ha cominciato a risalire con la notizia che Pechino ha installato batterie di missili su un’isola dell’arcipelago delle Paracel, occupato dalla Cina ma rivendicato anche da Taiwan e dal Vietnam. Queste istallazioni sono state viste dagli Stati vicini e dagli Stati Uniti come una palese violazione di ripetute dichiarazioni del governo cinese, nelle quali si negava ogni intenzione di militarizzare queste isole, o le altrettanto contese Spratly e le relative isole artificiali costruite recentemente dai cinesi.

Pechino si era però riservata il diritto di difendere queste isole, di cui conclamava il pieno diritto di possesso, e gli attuali missili sembrerebbero una risposta alle “violazioni” delle acque territoriali effettuate da cacciatorpediniere americane lo scorso ottobre e nel gennaio di quest’anno. Le virgolette sono doverose dato che territoriali quelle acque lo sono solo per Pechino, ma restano internazionali per tutti gli altri Stati. L’installazione dei missili sembra segnare un punto di non ritorno, anche se si può ipotizzare una mossa diretta a massimizzare la presenza cinese nell’area, per poi trattare con gli altri Stati concessioni da un punto di forza. L’alternativa sarebbe, infatti, un disastroso conflitto a tutto campo.

Solo due giorni fa si era tenuto un incontro tra il presidente americano Obama e i dieci Paesi membri dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, in cui si era riconfermata la necessità, e volontà, di risolvere i problemi territoriali secondo le leggi internazionali e rispettando i diritti di tutti i Paesi, grandi e piccoli. Per l’opposizione di alcuni Stati vicini alla Cina, come Laos e Cambogia, non era stata esplicitamente citata la contesa del Mar Cinese Meridionale. Il giorno dopo, come riporta Reuters, il ministero degli Esteri cinese ha ribadito la posizione di Pechino, cioè che le questioni aperte devono essere risolte dagli Stati della regione, senza intrusioni di potenze esterne, con esplicito riferimento agli Usa.

La Cina pretende di estendere le sue acque territoriali al 90 per cento di questa zona di mare e le ragioni non sono solo strategiche, ma anche fortemente economiche, dato che in quest’area passa traffico navale per circa 5mila miliardi di dollari ogni anno. Si capisce quindi quanto sia importante che questo traffico possa svolgersi in acque internazionali. Inoltre, nella regione vi sono giacimenti di petrolio e gas naturale, il cui possesso rimane interessante anche in questo periodo di bassi prezzi. Tuttavia, la reale consistenza di questi giacimenti non è stata accertata, ma la loro esplorazione ha già causato conflitti tra Cina e Stati vicini, come il Vietnam.

A differenza di Laos e Cambogia, il Vietnam è stato un tradizionale alleato dell’Urss, cui deve buona parte dei suoi armamenti, e ha tuttora buone relazioni con Mosca, come dimostra la consegna di un sottomarino russo, quinto di un ordine totale di sei, avvenuta all’inizio di febbraio. L’impressione è tuttavia che sia Hanoi che Pechino tendano ad evitare situazioni troppo tese e quest’ultima, di fronte alle proteste vietnamite, ha rinunciato ad installare una propria piattaforma petrolifera in un’area rivendicata dal Vietnam.

Più complicate sono le relazioni con Taiwan, altro Paese con pretese territoriali nell’area. Nello scorso novembre era avvenuto a Singapore un incontro storico, quello dei presidenti di Cina e Taiwan, il primo dopo più di sessant’anni dalla fine della guerra civile cinese. Questo incontro era una logica conseguenza della politica seguita dal presidente nazionalista di Taipei, Ma Ying-jeou, eletto nel 2008, contrassegnata da un progressivo ravvicinamento a Pechino, con una sostanziale accettazione dell’autonomia concessa a Taiwan, ma con una altrettanto sostanziale rinuncia a una vera e propria indipendenza.

Le elezioni presidenziali di gennaio sono state però vinte dall’opposizione e il nuovo presidente, una donna, Tsai Ing-wen, sembra più propensa a ridurre la dipendenza dalla Cina e condurre una politica più rivolta ai Paesi vicini. Tuttavia la nuova presidentessa non potrà condurre una politica troppo avversa a Pechino, se non altro per l’importanza che la Cina continentale ha per l’economia dell’isola, ma la sua elezione non è stata ben vista dalla Cina e potrebbe essere motivo di ulteriore inasprimento della già pericolosa situazione nel Mar Cinese Meridionale.





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