GEO-POLITICA/ La “patata bollente” pronta per l’Europa

- Mauro Bottarelli

Più che guardare direttamente Oltreoceano, una spiegazione al disastro aereo egiziano potrebbe risiedere in Europa o ai suo confini più limitrofi, spiega MAURO BOTTARELLI

bandiere_europa_ok_R439 Immagine dal web

Ho letto con interesse l’intervista a Giulietto Chiesa pubblicata ieri riguardo al velivolo EgyptAir precipitato mentre stava per atterrare al Cairo proveniente da Parigi. La tesi, come sempre, è estrema: è un atto ascrivibile ai neo-con Usa per colpire Al-Sisi e Hollande, il primo per destabilizzarne il governo e favorire il ritorno al potere dei Fratelli Musulmani e il secondo perché ha chiesto la revoca delle sanzioni contro la Russia. Nel primo caso, sono d’accordo, visto che dopo l’attentato all’aereo di linea russo dello scorso ottobre, in cui morirono 224 persone, l’Egitto ha perso 280 milioni di dollari al mese di introiti provenienti dal turismo, una voce che conta per il 15-20% del Pil del Paese. Quindi, ci sta che qualcuno interessato a destabilizzare l’Egitto voglia infliggere un colpo mortale all’economia, creando i prodromi per instabilità sociale e anche possibili colpi di Stato eterodiretti. Per quanto riguarda il “messaggio” Usa alla Francia, mi viene da pensare.

Al netto che, dopo l’intervento militare in Siria e la liberazione di Palmira, l’atteggiamento europeo verso Putin ha visto sparire i toni da Guerra Fredda nella gran parte dei governi dell’Unione, restando vivo soltanto negli strali dettati da Washington a Federica Mogherini, i due grafici a fondo pagina ci dicono un paio di cose. Primo, il mercato azionario russo è tra i meglio performanti da inizio anno, con un netto miglioramento proprio da quando la Casa Bianca ha consigliato di vendere assets di Mosca per il rischio Paese. Secondo, il rendimento del bond sovrano decennale, schizzato dal 9% e il 14% a causa delle sanzioni nel luglio 2014, è ora sceso sotto il 9%, per l’esattezza all’8,84%, il livello più basso proprio dall’introduzione delle restrizioni economiche, finanziarie e commerciali verso Mosca. Dunque, non solo le sanzioni non hanno messo in ginocchio Mosca, ma nemmeno il combinato di shale oil Usa e sovra-produzione saudita: la carta economica non ha funzionato.

Si potrebbe dire che Hollande si è schierato nettamente contro il Ttip, progetto commerciale che invece Obama vorrebbe concludere a tutti i costi prima della fine del suo mandato. Tranquilli, gli americani si sono già tutelati attraverso un altro trattato, il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), in discussione proprio in questi giorni attraverso i ministri del Commercio europei e nella totale segretezza imposta dalla Presidenza europea. Di cosa si tratta? Semplice, del cavallo di Troia Usa per garantirsi il medesimo risultato se per caso il Ttip incontrasse troppe resistenze tra gli Stati membri: è un accordo commerciale tra Ue e Canada, le cui trattative sono iniziate nel 2009 e concluse con una cerimonia a Ottawa nel settembre 2014. I colloqui sono stati esclusivamente tra Commissione Ue e governo canadese, escludendo sia gli europarlamentari che i parlamentari dei vari Stati membri e ora si sta decidendo se, bontà loro, i Parlamenti nazionali saranno autorizzati a ratificare il Ceta prima della sua applicazione. Insomma, cosa fatta.

E cosa introduce il Ceta? Ciò che preme maggiormente alle multinazionali Usa, ovvero l’introduzione dell’istituto dell’Investment-State Dispute Settlement (Isds), ovvero la possibilità per le corporations straniere di citare in giudizio ogni Stato membro dell’Ue che emani una legge che potrebbe ledere i suoi profitti in futuro. Insomma, la fine della residua sovranità e l’inizio della dittatura totale delle multinazionali. E dove sta la furbata? Stando al Ceta, questa clausola non si applica solo alle aziende canadesi, ma anche a quelle Usa che abbiano uffici in Canada: ovvero, l’85% del totale.

Riflettendo, poi, al netto delle vittime innocenti, Hollande ha ottenuto solo vantaggi involontari da questo attentato o sciagura che sia. Primo, ha immediatamente posto il divieto alle manifestazioni pubbliche per motivi di sicurezza, ponendo fine quindi ai cortei oceanici dei sette sindacati e dei movimenti di base e studenteschi contro la nuova legge sul lavoro, fatta passare in Parlamento con una scappatoia alla Renzi. E siccome quelle proteste vanno avanti da marzo e stavano aumentando di intensità e anche violenza, da ieri stop. Secondo, proprio l’altro giorno è stato prolungato lo stato di emergenza in Francia, lo stesso che Hollande firmò tornando all’Eliseo dopo gli attentati allo Stade de France e mentre l’attacco al Bataclan non era ancora iniziato (casualmente era già stato redatto, pronto da firmare) e che garantisce al presidente pieni poteri in fatto di sicurezza, bypassando anche il Parlamento. Il tutto a meno di un mese dagli Europei di calcio proprio in Francia e con l’intelligence transalpina che ha già avvisato il mondo politico di prepararsi a un alto rischio di attentati, soprattutto nei punti di ritrovo dei tifosi. La situazione perfetta per un presidente e un governo che traballano: l’emergenza e la paura sono sempre ottime alleate del potere, tanto più se questo potrà accreditarti come uomo di legge e ordine in vista delle presidenziali dell’anno prossimo, provando così a sgonfiare il fenomeno Marine Le Pen.

Il tutto in un Paese dove soltanto lo scorso dicembre sono stati effettuati controlli di intelligence che, guarda caso, hanno portato al ritiro del badge a 57 lavoratori dell’aeroporto parigino Charles De Gaulle, perché ritenuti possibili soggetti con legami al radicalismo islamico. Certo, negli Usa c’è fermento nel Deep State, soprattutto perché ormai Obama è un’anatra zoppa e corpi intermedi, media, grandi corporations e agenzie federali cercano di riempire i vuoti di potere e indirizzare la politica nazionale da qui al voto. Ma proprio perché c’è tensione al loro interno, potrebbero non essere nelle condizioni di voler operare, visto che giovedì mattina la CIA ha detto subito di ritenere probabile e con evidenze l’ipotesi dell’attentato, venendo smentita pochi minuti dopo dall’FBI.

Insomma, più che guardare direttamente Oltreoceano, una spiegazione all’accaduto potrebbe risiedere in Europa o ai suo confini più limitrofi. Anche perché il momento è di tensione altissima e una data chiave potrebbe essere quella di domani, 22 maggio, quando in contemporanea si terranno il secondo turno delle elezioni presidenziali in Austria, con la possibile vittoria del candidato di estrema destra che acuirebbe le tensioni in seno all’Ue sul tema migranti, e il congresso straordinario dell’Akp col quale si dovrà scegliere il prossimo leader del partito di maggioranza in Turchia, dopo l’addio di Ahmet Davutoglu, non solo dal ruolo di premier turco ma anche di numero uno del movimento politico di Erdogan e la nomina, sempre l’altro giorno, a nuovo primo ministro del fedelissimo di Erdogan, Binali Yildirim. E ora l’Europa ha poco da stare tranquilla: immediatamente dopo le dimissioni di Davutoglu, lo stesso Erdogan ha rilanciato l’idea di procedere con la riforma presidenziale «nell’interesse del Paese» e ha ribadito, con tono di sfida, che la Turchia non cederà alle richieste europee che riguardano la politica interna turca.

Mercoledì della scorsa settimana, poi, era infatti atteso il voto del Parlamento europeo riguardo ai visti liberi per i cittadini turchi che volessero entrare nell’Ue e a far capire chiaramente che l’addio di Davutoglu ha sancito un netto cambio di rotta nei rapporti Ue-Turchia ci ha pensato Burhan Kuzu, importante esponente dell’Akp, deputato ed ex consigliere di Erdogan, il quale su Twitter aveva scritto quanto segue relativamente al voto di mercoledì: «Il Parlamento europeo discuterà il report che aprirà l’epoca dei visti liberi per i cittadini turchi. Se sarà presa la decisione sbagliata, sguinzaglieremo i rifugiati!».

E cosa ha deciso il Parlamento? Nulla. Perché lunedì, ovvero due giorni prima del voto, il presidente, Martin Schulz, ha sospeso la discussione sull’argomento, citando proprio il no di Ankara alla revisione della legge anti-terrorismo come motivazione e passando la patata bollente alla Commissione europea, la quale deve già fare i conti con il voto contrario di massa sempre dell’Europarlamento sullo status di economia di mercato della Cina. Cosa farà Erdogan, abbozzerà o magari comincerà a far chiudere gli occhi alle sue guardie di confine, così per darci un assaggino di ciò che ci aspetterebbe in caso facesse saltare del tutto l’accordo? Viviamo tempi senza precedenti. In cui accadono cose senza precedenti.





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