DA MANCHESTER ALL’EGITTO/ Così l’occidente protegge i terroristi islamici

- Mark Sweha

Il terrorismo islamico ha un nome e una ideolgia politica precisa: i Fratelli musulmani che colpiscono i cristiani in Egitto perché considerati agenti dell'Occidente. MARK SWEHA

terrorismo_londra_westminster_1_lapresse_2017 Foto LaPresse

Continuano gli attacchi terroristici contro i cristiani in Europa e nel Medio Oriente. Pochi giorni dopo la strage di Manchester un commando di fondamentalisti islamici ha massacrato circa 35 cristiani copti che a bordo di alcuni autobus si stavano recando al monastero di Anba Samuel, a poco meno di un mese dal viaggio del papa in Egitto e dal suo incontro con la comunità copta. E’ solo l’ultimo di una sanguinosa serie in cui i cristiani d’Egitto vengono massacrati, fuori e dentro le loro chiese. 

Esiste un collegamento fra quanto accade in Europa e in Egitto?

I cristiani in Medio Oriente vengono visti e quindi colpiti perché considerati “agenti” dell’Occidente, una sorta di invasori in regioni che dovrebbero appartenere solo ai musulmani. Per questo si cerca di estirpare la loro presenza in ogni modo possibile, soprattutto con il terrore.

In Occidente la questione è diversa, anche perché oggi, grazie a certo relativismo nei confronti di tutti i tipi di ideologie, difficilmente lo si può considerare ancora cristiano. Ma è qui che l’estremismo ha trovato un terreno fecondo.

Gli anni 50 e 60 del secolo scorso sono segnati dalla fuga dei fondamentalisti dal Medio Oriente per via del potere assunto in paesi come Egitto, Iraq e Siria da regimi nazionalisti, a volte anche di impronta socialista, e soprattutto laici. Pariamo di Gamal Abdul el-Nasser in Egitto e del partito socialista di al Bath in Siria e in Iraq. In questo modo i Fratelli musulmani, la formazione politica più radicale e fondamentalista dell’islam, ebbero modo di riorganizzarsi nei paesi dove si erano rifugiati, accolti in modo amichevole dopo che episodi come la guerra del Canale di Suez era stata vista come una sconfitta della politica ancora legata al colonialismo di Paesi come Francia e Gran Bretagna.

Gli islamisti giunti in Europa, non potendo chiamare questi paesi nei due modi con cui l’islam definisce una nazione (“dar al Islam” o la casa dell’islam e “dar al Hard”, la casa della guerra, visto che l’Europa non viene considerata come casa dell’islam neanche in caso di guerra) li hanno definiti “dar al Dawa’a” o casa della predicazione, dove diffondere la loro visione dell’islam.

Tra questi c’era Said Ramadan, figlio di Hassan al-Banna, il fondatore della Fratellanza musulmana, che fondò centri islamici a Ginevra, a Monaco di Baviera e a Londra.

Nel 1966 a Londra si svolse una manifestazione pubblica a sostegno dell’intellettuale del gruppo, Sayyed, gli scritti del quale (caratterizzati dal salafismo jihadista) vengono ancora oggi usati dalla maggior parte dei gruppi jihadisti. 

La Fratellanza musulmana ha visto negli anni una crescita esponenziale tra le comunità islamiche inglesi, anche se si è assistito a varie divisioni interne. Il gruppo opera in modi diversi a seconda delle situazioni, ma molti di quelli usciti dall’organizzazione madre hanno fondato gruppi jihadisti che usano come unico mezzo politico la violenza e il terrore.

Nel 2015, il quotidiano inglese Guardian pubblicò una dichiarazione dell’ex premier David Cameron in cui si accusavano i Fratelli musulmani della loro ambiguità e anche del loro supporto nei confronti del terrorismo dell’organizzazione palestinese Hamas. Recentemente il governo ha imposto delle restrizioni nei confronti dei rifugiati che arrivano dal Medio Oriente: vengono infatti accolti solo coloro che non risultano coinvolti in atti di violenza, specialmente i sostenitori di Mohamed Morsi in fuga dall’attuale regime egiziano.

L’indifferenza tenuta fino a oggi nei confronti dell’islam politico ha messo però l’Occidente in una situazione di grave insicurezza. Mentre in Inghilterra si continuano ad accogliere i sostenitori di Morsi, in Egitto si uccidono i cristiani perché considerati tra i colpevoli della sua destituzione.





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