ELEZIONI FRANCIA/ Sapelli: Le Pen può ancora vincere, ecco perché
Emmanuel Macron e Marine Le Pen si giocano la poltrona di Presidente della repubblica francese nel ballottaggio, preceduto da un confronto tv. Il commento di GIULIO SAPELLI
Bisognava assistere al dibattito televisivo tra la signora Le Pen e il signor Macron che il 3 maggio ha incatenato dinanzi al televisore la maggioranza dei francesi e, spero, buna parte degli opinion makers internazionali. Ma a quel dibattito bisognava assistere avendo letto di Celine Viaggio al termine della notte e di Voltaire le numerose pagine in cui dileggiava Rousseau assimilandolo alle scimmie e agli animali a quattro zampe che si avvoltolano nel fango. Se non si fosse conosciuta la vita di Celine, il suo profondo antisemitismo, il suo legame intellettuale con una delle radici più forte della destra internazionale, ossia l’Action Francaise e tutta la tradizione secolare vandeana di un grande popolo come quello francese, quel capolavoro del Novecento sarebbe parsa la decostruzione linguistica della Commedia umana di Balzac, o dei Miserabili di Hugo: sarebbe parso un romanzo socialista, anarchico, un grido di dolore angoscioso e smarrito che proveniva dalle viscere della rivoluzione. Come gran parte della letteratura di “destra” del Novecento, basta pensare a Ezra Pound, Celine apriva un nuovo mondo, cercava una nuova via, che partiva dall’impulso di morte per risalire a una disperata utopia. Un romanzo vivo, palpitante, terribile e, se esiste un bivio nella storia, ebbene la scelta al bivio di Celine portava al dolore, ma anche alla trasformazione. Le invettive di Voltaire contro Rousseau erano invece l’arroganza suprema che aveva perso ogni dignitosa sprezzatura aristocratica per diventare cecità dinanzi al dominio di una ragione senza senso e senza fondamenti morali; quella stessa ragione illuministica che Adorno e Horkheimer faranno a pezzi nei Minima Moralia proclamando ad alta voce che, da un mondo senza utopie e senza illusioni, potevano scaturire solo immani sciagure, come infatti accadde con la Shoah.
Questa si chiama non solo inversione della rappresentanza politica, come oggi accade quando la destra rappresenta i poveri e gli emarginati e coloro che decadono, mentre la sinistra rappresenta i ricchi, i semi ricchi, quelli che salgono e quelli che assalgono. In mezzo, come è noto, rimane il popolo degli abissi, che azzanna ora di qua e ora di là e ci fa capire che qualsiasi Leviatano è meglio di qualsiasi Behemoth, il mostro biblico che sguazza senza fine nel fango e nel sangue.
Sì, ricordo tutto questo perché in quella sorta di sfida a duello in tivù, l’altra sera, si sono rappresentati due grandi filoni della storia, ma anche due scuole della storiografia economica e del pensiero economico. La prima è quella dell’anticapitalismo di destra, che ha avuto diverse declinazioni storico-concrete in diversi paesi, ma è inutile far sfoggio di erudizione. L’anticapitalismo di destra è un anticapitalismo nazionalistico, ossia nasce dal cuore e dalla mente, e non solo dal ventre, come dicono i detrattori, più ignoranti che mai, dei disoccupati, dei poveri, degli emarginati. E lo stesso anticapitalismo di destra pensa di difenderli e di migliorane le sorti continuamente costruendo e ricostruendo lo spirito di nazione, attraverso il respingimento dei migranti, una xenofobia intermittente, ma sempre presente, e poi una politica economica di protezionismo, di sovranità fiscale ancor prima che monetaria, favorendo – e questa è una contraddizione tipica di questa politica economica – quei poteri situazionali di fatto che di queste misure si avvantaggiano, spesso dimenticando una delle promesse centrali che si son fatte agli ultimi, ossia la redistribuzione della ricchezza e del potere.
La signora Le Pen è una rappresentazione fisicamente anche concreta di ciò: si veste più che spartanamente; ha una fisiognomica più popolare che mai, da come si pettina a come sorride; da come sa interrompere e instupidire l’avversario, in una lotta intellettuale che è anche fisica, ancestrale, quasi voluttuosa. Dall’altro lato c’è tutta l’egemonia culturale che ha conquistato nel mondo, anche nella Francia patriottica e non nazionalista, il pensiero liberista, il mito del mercato autoregolato, l’illusione dell’equilibrio sempre raggiunto, di cui oggi, come aveva ben previsto in Italia Augusto Del Noce e negli Stati Uniti Lipset e Riesman, si fa portatore di ciò che rimane della storica sinistra europea, socialista e postcomunista.
In Europa, questo ribaltamento della tradizione ha però incontrato davanti a sé una sorta di insuperabile contraddizione: l’Unione economica europea con un sistema a cambi fissi, grazie alla creazione di una moneta unica che sottrae via via ogni forma di sovranità economica tanto alle patrie quanto alle nazioni, a seconda della tradizione culturale cui si appartenga. La contraddizione è che tutto il liberismo oggi dilagante si è inverato attraverso l’ordoliberalismus, ossia l’inveramento delle teorie di Eucken nel suo libro fondamentale Die Nationale Oekonomie, che si è inverato nel suo punto archetipale più nefasto, ossia dell’inserimento nelle costituzioni nazionali, sempre e solo dei principi economici liberisti e monetaristi antiinflattivi. Di qui due altre contraddizioni che nel dibattito televisivo sono emerse nelle parole di Macron. Un simile meccanismo è quanto di più illiberale vi sia (ricordate la distinzione, sempre attualissima, di Benedetto Croce tra liberismo e liberalismo?) e quindi diventa ben difficile sostenere la tesi che si vuole una forte Francia protetta da una forte Europa, perché lo squilibrio tra centro e periferia, ossia tra Germania e tutte le altre nazioni, è troppo forte per sostenere che si tratti di protezione e non di dominazione. L’altra contraddizione è quella che è stata disvelata dalla Brexit, ossia da un Regno Unito che sceglie di sfidare il mondo e insieme di vivere nel mondo, grazie alle regole del Wto, ossia di un libero mercato aperto, costellato volta a volta tanto dal free trade, quanto dal protezionismo selettivo. E questo non è l’Unione europea, che è invece tutto il contrario del free trade perché è uno Zollverein, ossia un’area doganale che apre i suoi mercati all’interno, ma che eleva barriere protettive a tutto il suo esterno, creando infinite contraddizioni tra ciò che rimane delle sue nazioni all’interno, per i diversi livelli di produttività esistenti, e opponendosi di fatto a ogni forma di cooperazione economica, con sistemi di nazioni o con nazioni a essa esterna, come dimostra la storia del commercio mondiale degli ultimi trent’anni.
Nel dibattito televisivo queste contraddizioni sono esplose discutendo del possibile futuro dell’euro: eliminarlo, accompagnarlo con monete nazionali? Non si è discusso del fatto essenziale, ossia di quanto l’euro sia una concausa della crisi economica mondiale di tipo deflazionistico che continua a tormentarci dopo le ubriacature da esuberanza borsistica. Era il giovane Macron che doveva discettare di questi temi, lui fisicamente uomo dell’ordoliberismus: giovane e bello, con gli occhi azzurri; vestito da tecnico senza una punta di creatività; così presuntuoso e arrogante da dimenticare che ruolo stava svolgendo e a chi dovesse riuscir simpatico, con quelle sue invocazioni finali ai francesi di rimanere fedeli ai valori dell’Illuminismo, che gli costeranno un bel po’ dei volti cattolici, con questa sua dimenticanza di quanto sia tormentata, e storicamente divisiva, quella che il grande Maestro Fernand Braudel chiamava l’identitè della France che per lui teneva miracolosamente insieme santa Giovanna d’Arco e l’ala moderata della rivoluzione francese, in quel meraviglioso equilibrio di cui De Gaulle era stato l’interprete più esaltante.
È vero: la conferenza episcopale dei vescovi di Francia ha apertamente consigliato ai cattolici di non votare la signora Le Pen. Anche a questo ho pensato, oltre a Celine e a Voltaire, ascoltando la signora Le Pen e il signor Macron. E se a questo pensiero aggiungo che non c’è continente al mondo più secolarizzato dell’Europa, ecco un altro elemento che mi fa presagire che la signora Le Pen corre calzando gli stivali delle sette leghe. Verso che cosa? Certamente attraverso la trasformazione che è sempre meglio della glaciazione, nonostante ciò che pensano coloro che non hanno mai nessun dubbio sul cosiddetto cambiamento climatico.
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