CASO YUCEL/ Giornalista tedesco liberato (forse) dalla Turchia, ecco il patto Erdogan-Merkel
Dopo un anno di detenzione la Turchia ha liberato il giornalista tedesco Deniz Yucel, 24 ore dopo l'incontro tra il primo ministro turco e Angela Merkel. VALERIA GIANNOTTA
Cosa ha dato in cambio Berlino per ottenere la liberazione del giornalista Deniz Yucel (per il quale comunque c’è ancora in sospeso, dopo un anno di detenzione, un processo in cui rischia 18 anni di carcere)? E’ quello che si chiede Valeria Giannotta, ricercatrice del Dipartimento di scienze politiche e delle relazioni internazionali dell’Università Sabahattin Zaim di Istanbul, intervistata da ilsussidiario.net. Una liberazione avvenuta neanche 24 ore dopo la visita in Germania del primo ministro turco, mentre contemporaneamente venivano condannati all’ergastolo sei giornalisti e accademici turchi, tra cui i fratelli Ahmet e Mehmet Altan.
Il giornalista tedesco di origini turche Deniz Yucel viene liberato dopo un anno di detenzione e contemporaneamente viene chiesto per lui un processo con il rischio di essere condannato a 18 anni di carcere. Cosa sta avvenendo esattamente secondo lei tra Germania e Turchia?
Non è un caso che la liberazione di Yucel sia avvenuta 24 ore dopo la visita in Germania del primo ministro turco Yildirim, conclusasi con grande entusiasmo dello stesso primo ministro (“Dobbiamo considerare la Germania come la spina dorsale dell’Europa, avere buoni rapporti con Berlino significa avere buoni rapporti con tutta la Ue”, ndr). Dunque per sapere quale sarà il futuro del giornalista bisogna sapere cosa Berlino ha concesso in cambio.
Lei ha qualche supposizione?
Sappiamo che la Merkel e Yildrim hanno parlato anche di terrorismo e del Pkk, per cui è lecito pensare che la Germania abbia offerto un polso più duro verso gli appartenenti al gruppo curdo, cosa che finora non era.
Ritiene che tutta questa buona volontà tedesca sia stata messa in campo solo per ottenere la liberazione del giornalista o c’è in gioco qualcosa di più grosso?
I rapporti tra Germania e Turchia da più di un anno sono ai minimi storici. Le cause sono problematiche e legate agli immigrati: il supporto tedesco ai membri del Pkk, organizzazione che per la comunità internazionale è terroristica, e il fatto che a Erdogan alle ultime elezioni turche venne vietato di fare campagna elettorale in Germania.
Siamo davanti a una svolta?
La Turchia è in una sorta di isolamento internazionale, le cancellerie europee ne hanno un’immagine negativa e il dato economico ne soffre. La Germania è il primo partner commerciale della Turchia di tutta l’Unione europea, per cui una distensione è di fondamentale importanza.
La Turchia sembra stia cercando di ricucire i rapporti un po’ con tutta l’Europa, è d’accordo?
E’ un momento in cui Ankara si vuole rilanciare sullo scenario internazionale, lo abbiamo visto dagli incontri di Erdogan con Macron, con il papa e il nostro governo. Ieri poi ad Ankara è venuto il segretario di stato americano Tillerson, un incontro di grande importanza alla vista dei rapporti tesi anche con gli Stati Uniti.
Dunque un cambio di rotta da parte di Erdogan?
La Turchia sembra voglia sdoganarsi da questo isolazionismo, fermo restando che in questo paese vige una forte frustrazione per il trattamento accordato dall’Unione europea ai tempi del tentato golpe in cui alcuni stati hanno fatto fatica a dare solidarietà a Erdogan e a capire le dinamiche interne.
Nello stesso momento della liberazione di Yucel però sono stati condannati all’ergastolo sei tra giornalisti e accademici.
In Turchia c’è ancora lo stato di emergenza, rilanciato per la terza volta. Carcerazioni e fermi continuano proprio perché il Paese si ritiene vulnerabile a ogni tipo di minaccia. Il pugno di ferro continua, lo stato di emergenza prevede la sospensione di alcuni diritti e garanzie. I contrasti interni istituzionali anche, basta dire che dei due fratelli Altan, condannati adesso all’ergastolo, un mese fa la Corte istituzionale aveva chiesto la liberazione. Ci sono evidenti distorsioni interne e i vertici si giustificano dicendo che c’è uno stato di emergenza.
(Paolo Vites)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I commenti dei lettori