INCHIESTA/ Cittadinanza attiva, così i “falsi italiani” intascano benefits con un passaporto

- Arturo Illia

Avere la cittadinanza italiana con lo ius sanguinis è semplice. E c'è chi vi ha costruito un business per ottenere sussidi anche senza risiedere nel nostro Paese. ARTURO ILLIA

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In un precedente articolo illustravamo la questione, che rischia di trasformarsi in un problema serio, della cittadinanza italiana facile. Il nostro Paese detiene il record mondiale di richieste, soprattutto a causa della legge sullo “ius sanguinis”, diritto di sangue. Mentre per altri Paesi questo diritto, all’estero, può essere esercitato solo per discendenza diretta e spesso dietro un naturale esame linguistico, l’Italia lo permette molto facilmente: basta avere un parente o avo che dal 1861 abbia mantenuto la cittadinanza italiana senza prendere quella del Paese di emigrazione.

Da alcuni anni questo fatto ha non solo intasato all’inverosimile i nostri Consolati all’estero, specie in Brasile e Argentina, Paesi con uno storico flusso migratorio, ma ha anche creato una problematica che rischia di avere conseguenze serie per l’Italia. Va da sé che molti di questi “italiani” non mantengano non solo una goccia di sangue nostrano, dopo tante generazioni passate, ma nemmeno parlino la lingua e si interessino della loro supposta “Madre Patria”, di cui non gli importa assolutamente nulla. Quel che gli interessa è ottenere il passaporto italiano. Perché a partire dal documento si possono innescare una serie di benefit che la classica generosità nostrana ormai non nega a nessuno. Per la semplice ragione che questa massa che in breve tempo potrebbe raggiungere un milione di persone (sui 60 che si stima siano i discendenti di italiani residenti all’estero) dispone in Italia di un alleato straordinario: la classe politica.

Da quando con la battezzata “legge Tremaglia”, dal nome del suo creatore, si è stabilito che gli italiani all’estero hanno il diritto di voto, ben due Governi sono stati decisi da repentini cambiamenti di alleanza politica di alcuni deputati o senatori eletti al di fuori dei patri confini. Insomma, sulla pelle degli italiani che il Paese lo vivono davvero, si è abbattuto il giudizio di una massa consistente di persone che non solo l’Italia non la vivono concretamente, ma per cui spesso non dimostrano alcun interesse e che hanno il solo riferimento di candidati che, nella lingua locale attraverso pubblicità varie e affissioni, influenzano le loro scelte. Si capisce bene allora come mai, due anni fa, per citare un esempio, nel referendum costituzionale abbia vinto nelle circoscrizioni estere. Dove oltretutto, nonostante i controlli operati anche attraverso codici a barre sulle buste contenenti i voti, si sono scoperti brogli colossali o schede “dimenticate” negli uffici postali. 

Ma perché, ci si chiede, gente che di italiano non ha assolutamente nulla vota? Basta guardare le pubblicità dei loro candidati, dove si evince che la causa di ciò risiede nel promesso “Passaporto express”. Una volta ottenuto il quale si hanno vantaggi notevoli, specie nelle ormai consorelle disastrate economie latinoamericane: in primis non si perde la cittadinanza di residenza od origine in molti casi, visto che si possono mantenere entrambe (se però un italiano desidera fare lo stesso perde la propria per disposizioni Ue) e quindi, con il nostro passaporto, si può accedere liberamente nell’Ue senza nessun tipo di controllo. E poi perché l’accesso negli Usa non comporta l’ottenimento di un visto particolare per andarci, dato che si rientra nelle regole Ue. C’è poi un altro fatto: da alcuni anni attraverso internet sono sorte organizzazioni che promettono quella che si chiama “cittadinanza attiva”. 

Attraverso conferenze in ogni angolo del Paese, specie di Brasile e Argentina, con siti web colmi di foto di Vespe o monumenti nostrani, queste organizzazioni, in cambio di una cifra che oscilla tra i 3.000 e i 5.000 dollari, programmano una vacanzina in Italia, nella quale viene inserita una capatina in un paese dove si richiede la residenza. Trascorso il tempo necessario per il classico controllo del vigile che la attesti in un appartamento affittato dall’organizzazione, si può tranquillamente procedere alla domanda di pensione sociale o quant’altro e dopo un breve periodo farsi un viaggetto a Madrid (usando il documento Ue) per poi rientrare nel proprio vero Paese di origine utilizzando il “secondo” passaporto (quello dello Stato di provenienza).

Il fenomeno descritto, rivelatomi nella sua dimensione da un gruppo di diplomatici nostrani, dapprima ridotto nelle sue dimensioni anche dai costi spesso proibitivi dei viaggi, ha assunto proporzioni allarmanti e rischia, se non regolato, di provocare anche danni economici notevoli all’Italia. Non solo per la quantità industriale di rappresentanze consolari operanti al limite del collasso, ma anche per l’elargizione di benefits a gente che non ne ha il diritto. Pochi anni fa, a seguito dello scandalo delle false cittadinanze elargite a calciatori stranieri, cosa che fece eco in Italia, l’Inps programmò una serie di controlli che diedero risultati concreti e difatti l’ente depositò i l’ammontare delle pensioni su conti propri, con l’obbligo di riscossione personale, fatto che in pratica ridusse momentaneamente il problema. Ma solo lo scorso anno si sono scoperte in diverse località della Penisola comunità di brasiliani ufficialmente residenti che però nessuno aveva mai visto o incontrato. 

Nel concludere questo articolo desidero precisare che ho sempre trattato con il dovuto rispetto i nostri connazionali emigrati: essi hanno permesso a generazioni intere di italiani di poter godere di migliori condizioni di vita, specie dopo le catastrofi provocate dai conflitti mondiali. Ed è proprio nel loro rispetto, per far s’ che possano avere la possibilità di un maggiore riconoscimento, che credo sia giusto segnalare quanto scritto. L’italianità è una cosa seria e la cittadinanza non può esser trattata alla stregua dell’iscrizione al club di Topolino… che pare risultare più difficile.

Se i siti dei nostri Consolati sono intasati al punto di risultare inaccessibili e provocare proteste, se per legge devono trascorrere due anni in modo da permettere la ricerca di documenti perduti in archivi quasi da museo, ciò costituisce indubbiamente un danno a chi all’Italia ci tiene davvero. 

(2- fine)





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