FIAT/ Il doppio errore di Marchionne e Landini (Fiom)

- Augusto Lodolini

Marchionne ha dichiarato di voler investire un miliardo di euro a Mirafiori, ma la Fiom, a differenza degli altri sindacati, non ci crede. Il commento di AUGUSTO LODOLINI

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Dati i tempi che corrono, la notizia che una società vuole investire un miliardo di euro in una fabbrica dovrebbe essere accolta con notevole e generale soddisfazione. Invece c’è sempre qualcuno che ha da ridire. Ovviamente mi riferisco all’esito dell’incontro dell’altro giorno tra Marchionne e i sindacati, esclusa la Fiom-Cgil, e alla promessa della Fiat di investire un miliardo nello stabilimento di Mirafiori.

Ancora una volta, ciò che colpisce è la radicale differenza di valutazione tra la Cgil e gli altri sindacati, questi ultimi accusati dalla Fiom di essere sotto ricatto della Fiat. Leggendo le dichiarazioni del segretario della Fiom, Maurizio Landini, emergono due sostanziali aspetti di divergenza tra i sindacati. Cisl, Uil, Ugl, sembrano pragmaticamente interessati alla conservazione dei posti di lavoro, anche a costo di adeguamenti contrattuali e rinunce ideologiche, mentre Cgil sembra arroccata su questioni di principio.

Infatti, Landini ha definito l’accordo “un fatto di una gravità inaudita. Cisl, Uil e Ugl non vogliono l’unità sindacale, ma hanno accettato il ricatto della Fiat, mettendo prima dei fatti concreti il principio “istituzionale” dell’unità sindacale. Significativa la risposta del segretario della Fim-Cisl, Giuseppe Farina: “La Fiom-Cgil con i tribunali riporta i delegati Fiom negli stabilimenti, la Fim-Cisl insieme agli altri sindacati, con i buoni accordi sindacali porta investimenti e lavoro. In effetti, buona parte delle dichiarazioni di Landini sono incentrate sul rispetto o meno della sentenza della Corte costituzionale.

Tuttavia, vi è un’altra componente nel dissenso della Fiom, cioè la forte diffidenza nei confronti della controparte, per esempio quando Landini sottolinea il rischio che si tratti solo dell’ennesima promessa di Marchionne, magari per poter continuare la cassa integrazione, che a Mirafiori sta per scadere. O quando afferma che non vi è alcun impegno scritto sul cosa e sui tempi, mettendo in dubbio che “il polo del lusso” (i Suv) possa garantire l’attuale occupazione dello stabilimento.

Evidentemente gli altri sindacati si fidano o, forse, pensano che gli scontri in tribunale, i proclami e gli scioperi ad oltranza sono dei “lussi” non più concessi dalla crisi estrema in cui versa l’industria automobilistica, particolarmente in Italia. Sarà bene ricordare che prima dell’incontro si considerava non campata in aria l’ipotesi della chiusura di Mirafiori, lo stabilimento storico di Fiat. E poco avrebbe potuto fare anche una ben disposta Corte costituzionale.

Detto questo, un problema di credibilità sui piani di investimento di Marchionne sussiste, anche non partendo da una posizione vetero sindacale del padrone-che-tira-a-imbrogliare. Dal 2004 a oggi Fiat ha presentato, credo, otto piani che non sono stati, o non è stato possibile, rispettare. Tutti ricordiamo i 20 miliardi di investimenti per il progetto “Fabbrica Italia”, lanciato nel 2010 e ufficialmente abbandonato un anno fa. Marchionne allora fu onesto e dichiarò di essere stato troppo fiducioso, ma che la crisi non lasciava altre possibilità. 

Sarebbe perciò importante che la Fiat documentasse gli investimenti fatti in Italia negli ultimi anni, a Pomigliano, Melfi, Grugliasco, e desse informazioni meno generiche sugli investimenti che intende fare, per esempio a Mirafiori, così da fugare dubbi quali quelli espressi da Landini. Marchionne è senza dubbio abituato a questa trasparenza e precisione quando deve trattare su Chrysler negli Usa.

Anche il governo dovrebbe occuparsi un po’ di più della questione, data l’importanza di questo settore nella nostra economia. Anche se la cosa sembra non interessare la Fiom, vi è una capacità produttiva eccessiva, almeno qui in Europa, e anche l’imprenditore più “sociale” deve fare i conti con essa, razionalizzando la produzione. Accanto alla difesa degli stabilimenti attuali, è sempre più necessario ipotizzare progetti di riconversione delle fabbriche ormai fuori mercato, responsabilizzando in primo luogo l’azienda. In un modo però meno becero e inconcludente di quello utilizzato dal centrodestra per Termini Imerese.

A questo riguardo ho l’impressione che non sia solo la Cgil ha aver bisogno di lezioni sulla differenza tra statalismo e funzione di guida dello Stato, tra piani quinquennali sovietici e programmazione industriale, tra difesa del lavoro e difesa dei posti di lavoro.







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