FIAT/ Marchionne ha davvero perso la partita sugli incentivi?

- Paolo Annoni

Nella querelle infinita tra Fiat e Governo le ultime news danno per certo il mancato rinnovo degli incentivi. Marchionne allora ha perso? VOTA IL SONDAGGIO

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Alle 17:00 di ieri è arrivata la notizia ormai inattesa della cancellazione degli incentivi per il settore auto nel 2010. Con una nota, il ministro dello sviluppo economico Scajola pare aver definitivamente deluso le speranze di Fiat che fino a ieri mattina sembravano in realtà ben riposte. 

 

Nella querelle infinita tra Fiat e Governo le ultime news danno quindi per deciso il mancato rinnovo degli incentivi, mentre la casa di Torino dovrebbe aver “strappato” il via libera alla chiusura di Termini Imerese. Il punto ora è capire se e quanto è convenuto a Fiat insistere sulla chiusura di Termini perdendo il “regalone incentivi”. 

I mancati incentivi peseranno sull’utile operativo di Fiat per circa 350/400 milioni di euro nel 2010 (da un utile operativo atteso per il 2010 di 1,5 miliardi si passerebbe a uno di circa 1,1-1,15 miliardi); al contrario la chiusura di Termini dovrebbe permettere a Fiat di guadagnare circa 50-60 milioni di utile operativo in più all’anno.

Siccome gli incentivi sono un una tantum e invece l’uscita di Fiat da Termini è per sempre, potremmo anche concludere che Marchionne non sia stato completamente perdente nella sua partita a poker col Governo; certo sarebbe stato molto meglio avere anche gli incentivi che avrebbero fatto comodo in un anno che si preannuncia sfidante, ma in questo modo Fiat ottiene un miglioramento definitivo della sua struttura produttiva. La vera incognita oggi però è il destino di Pomigliano. 

Fiat ha dimostrato numeri alla mano nell’incontro del 22 dicembre con governo e sindacati da un lato l’inefficienza degli impianti italiani (con in testa quello di Termini) e dall’altro le deboli prospettive del settore nel 2010. In questo stesso incontro ha dichiarato l’obiettivo di aumentare la produzione di veicoli in Italia. Lo scenario che si prospettava fino a ieri era il seguito di questo passo iniziale.

Fiat avrebbe accontentato il Governo dando una prospettiva di medio-lungo termine a Pomigliano, spostando la produzione della Panda dalla Polonia, e in cambio avrebbe ottenuto incentivi (la metà di quelli del 2009) e mani libere su Termini Imerese che smetteva di essere un problema di Fiat per diventare un problema del Governo. Sia la casa di Torino che l’esecutivo avrebbero potuto sbandierare come un successo il complessivo aumento del numero di auto prodotte in Italia.

Questo scambio soddisfaceva entrambe le parti anche perché a Termini lavorano circa 1300 persone mentre a Pomigliano più di 5000. La mancata concessione degli incentivi mette Fiat in una posizione più libera rispetto all’opinione pubblica e, perché no, alle pressioni politiche, ma abbandonare Pomigliano in questo frangente (e alla vigilia delle elezioni regionali in Campania) desterebbe un tale vespaio da cui nemmeno un manager dalle spalle larghe come Marchione uscirebbe indenne. 

 

Fiat non può però lasciare il problema senza soluzioni; questo stabilimento ha lavorato nel 2009 con una efficienza infima (un tasso di utilizzo della manodopera del 30%) e ha fatto perdere al gruppo circa 150 milioni di utile operativo. Nella scelta tra garantire a Pomigliano una sostenibilità nel medio-lungo termine e la chiusura, Fiat potrebbe con ogni probabilità scegliere di procedere al trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia, riportando l’efficienza a buoni livelli e facendo finire le polemiche col Governo. 

 

Se questa fosse la conclusione si tratterebbe di un pareggio tra i due attori in campo, con, forse, una timida vittoria per l’esecutivo. In questa ottica il sacrificio di Termini può anche essere accettato. Sarà una magra consolazione, ma dall’altra parte dell’oceano Fiat ha ottenuto Chrysler senza pagare un dollaro e portando a termine una ristrutturazione decisamente più radicale e cruenta di quella italiana con l’accordo perfino dei sindacati locali. 

 

D’altronde il tema è lo stesso dall’autunno del 2008 quando la crisi ha reso evidente a tutti i problemi strutturali dell’industria auto: competizione esasperata e un gigantismo favorito da una teoria infinita di aiuti di Stato. Ogni Paese sviluppato ha fatto il possibile per garantire la sopravvivenza di uno dei settori con le più elevate ricadute occupazionali e ancora in grado di movimentare ingenti investimenti (dalla ricerca alla pubblicità). 

 

Le singole società hanno tentato di sfruttare quest’ultima (si spera) finestra per mettere in atto una riorganizzazione della struttura produttiva che renda in grado di competere e fare utili anche in contesti di debolezza economica. Per Fiat tutto ciò è ancora più decisivo perché, sarà nel 2010 o nel 2011, prima o poi il gruppo dovrà presentare al mercato lo spin-off con quotazione di Fiat auto e sarà molto meglio se potrà farlo con una società con i conti in ordine e buone prospettive; tanto più se l’approdo finale sarà la fusione con un altro gruppo (lo spin-off è fallito in primavera con la fine delle trattative per Opel). 

 

Avere a che fare con un settore con bassi margini, alta competizione e per di più sensibilissimo a governi e sindacati non è il sogno di nessuno, soprattutto se non ti chiami BMW o Mercedes; anche se, bisogna dire, se l’alternativa è l’acquisizione di Cushman & Wakefield, come ha fatto Ifil (ora Exor) nel 2007, perfino il settore auto può essere rivalutato. 





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