BORSA E REFERENDUM/ Cosa votano i mercati?

- Paolo Annoni

La vera questione important, per gli investitori, alla vigilia del referendum costituzionale è cosa abbia già scontato il mercato. PAOLO ANNONI ci aiuta a capirlo

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L’ultimo appello al voto, per il Sì, è arrivato venerdì pomeriggio dalla borsa di Milano, quando il listino è virato in negativo a causa di una raffica di sospensioni proprio dove fa più male e più paura e cioè dalle parti delle banche; poi il listino ha virato fino a chiudere in leggero calo mentre le quote del Sì degli scommettitori inglesi scendevano. Sarebbe interessante capire da chi è arrivato l’appello al Sì sui mercati di venerdì pomeriggio perché la Borsa italiana nel 2016 è la peggiore d’Europa e perché gli investitori esteri sono usciti dall’Italia quando un anno fa è arrivata la crisi bancaria con la pessima gestione, sostanziale e di immagine, del “fallimento” di quattro banche locali.

In ogni caso, gli indici che misurano la volatilità sui mercati non si sono mossi particolarmente nell’ultimo mese come si sarebbe dovuto attendere da un referendum da cui “dipende l’euro” e lo spread italiano si è mosso come quello spagnolo, anche se un po’ di più perché la Spagna non ha una crisi bancaria e perché non ha buttato via miliardi di euro in “bonus” pre-elettorali che non si può permettere e che vengono sottratti da investimenti in infrastrutture e simili. Sui mercati globali non si sa nemmeno quello per cui si vota domani in Italia e probabilmente non si sa neanche in Italia; al limite si sa che ci può essere un voto pro o contro l’establishment esattamente come per Trump quasi un mese fa.

Sappiamo a questo proposito che i voti anti-establishment e contro la stabilità, come nel caso di Trump, non necessariamente conducono ai terremoti di borsa che vengono prospettati alla vigilia come certi. Sappiamo anche che ai mercati non piace quello che si è visto in Italia negli ultimi anni perché la crescita non c’è e il debito pubblico sale, mentre continuano gli strappi e gli sprechi per pagare bonus elettorali. Non si riesce a eliminare il rischio sistemico relativo alla debolezza delle banche. Il caso Monte Paschi è emblematico e il piano attuale prevede commissioni per l’aumento che non si sono mai viste; il piano è in forse nonostante si strapaghino le banche del consorzio.

La vera questione, per gli investitori, alla vigilia del referendum è cosa abbia già scontato il mercato. Il calo dello spread degli ultimi giorni sembrerebbe suggerire che non si attendano shock particolari da questo appuntamento elettorale. Questo significa che il mercato non sta scontando alcun cambiamento radicale derivante dal voto di domani; il che vuol dire che o si attende una vittoria del Sì oppure ci si attende che una vittoria del No non cambi i termini della questione italiana e i fondamentali della sua situazione economica e finanziaria.

Sarebbe il caso a questo punto di chiedersi cosa possa succedere nei prossimi due anni con una riproposizione di quello che abbiamo visto negli ultimi tre; è una domanda molto interessante perché crediamo che convincere i mercati che con più potere si possano fare cose diverse da quelle fatte senza opposizione negli ultimi tre anni sia molto difficile, soprattutto quando si chiedono miliardi veri. La stabilità che si invoca non è altro che la riproposizione, ma per dieci, di quanto visto negli ultimi tre anni.

Il referendum italiano non avviene in un vacuum, ma in una fase davvero particolare per l’Europa. Lo spread tra titoli di stato americani e titoli di stato tedeschi è al massimo dalla caduta del Muro di Berlino. Comunque si voglia leggere questo dato e qualunque spiegazione si possa dare, si può almeno constatare che la sfiducia sull’Europa e la sua “crescita”, o la sua tenuta, sia massima. Mai come oggi si è scontata una tale differenza di prospettive tra Europa e Stati Uniti. Aggiungiamo anche che dal giorno dell’elezione di Trump la sterlina ha cominciato a rafforzarsi sensibilmente contro l’euro. Un altro segnale non propriamente positivo per l’Europa e l’euro confrontato con un Paese che, si dice, verrà distrutto perché si è messo contro l’Europa unita.

Possiamo dire che il mercato stia almeno prendendo in considerazione la possibilità di eventi economici di rottura in Europa. A questo appuntamento l’Italia rischia di presentarsi con una riforma costituzionale ed elettorale da uomo solo al comando, e con tanti difetti, e con un bilancio statale sfasciato da due anni di regalie pre-elettorali e di mancate riforme della Pubblica amministrazione da evitare come la peste per vincere le elezioni. Un andazzo che nei prossimi due anni ci farà sembrare quanto visto negli ultimi due mesi come una stagione di rigore e austerità. Il mercato evita l’Italia come la peste da un anno e mezzo. Probabilmente non ha tutti i torti.





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