FCA/ La “cessione” desiderata da Elkann e Marchionne

- Paolo Annoni

John Elkann e Sergio Marchionne sono tornati a parlare di fusione per FCA. Un’operazione che sembra impossibile, ma che farebbe loro comodo, spiega PAOLO ANNONI

marchionne_elkann_flouR439 John Elkann e Sergio Marchionne (Infophoto)

Dopo appena qualche mese di “tranquillità” si è tornati di nuovo ad affrontare il tema di un’aggregazione per il gruppo Fiat Chrysler. Giovedì, John Elkann, in una lettera indirizzata agli azionisti di Exor, in vista dell’assemblea, si è espresso in questi termini: “Per FCA, guardando alla possibilità di fare qualcosa con ‘Quelli Grossi’, le nostre analisi interne indicano che ci si potrebbe ottenere un risparmio vicino ai 10 miliardi di dollari all’anno.” “Ma bisogna essere in due per ballare il tango e la maggior parte dei nostri concorrenti sono impegnati con le grandi opportunità che la tecnologia ‘dirompente’ ha da offrire”.

Le frasi, abbastanza irrituali, sembrano dire tre cose: Fiat è ancora convinta che una fusione sia l’unica strada nel medio lungo termine, che si dovrebbe fare in fretta, e, infine, che, per ora, gli appelli di Fiat Chrysler cadono nel vuoto. A questo proposito l’ultima frase sulla tecnologia “dirompente” sembra una sorta di sbeffeggio per chi, tutti gli altri tranne Fiat, ancora si ostina ad andare per conto proprio.

Ieri l’ad Marchionne ha rincarato la dose, prima facendo i nomi di Ford, Volkswagen e Toyota come potenziali partner, poi precisando che la fusione che voleva fare, quella con GM, non si realizza per l’opposizione del produttore americano. A poche ore da queste dichiarazioni sono arrivate quelle di Ford, che ha detto di non essere interessata.

I desideri di Elkann e Marchionne sono abbastanza chiari e l’unica cosa che varrebbe la pena sottolineare è cosa veramente implichino questi desideri per FCA; poi bisognerebbe chiedersi quale sia, al di là dei desideri, lo stato dell’arte del progetto di “fusione” di Fiat Chrysler. Fiat Chrysler ha seriamente provato a chiudere un’operazione con General Motors; non è una speculazione dato che Marchionne ha spedito una lettera all’ad di General Motors per perorare la causa, evidenziando le straordinarie possibilità di creazione di valore industriale e finanziario. L’ad di GM ha risposto, sostanzialmente, che GM stava benissimo così. Su Volkswagen non abbiamo prove, ma ci sono moltissimi indizi tra cui dichiarazioni dello stesso management del gruppo tedesco. Le disavventure di Volkswagen negli Stati Uniti tra l’altro mostrano due cose: primo che l’appetibilità di FCA sarebbe in teoria ai massimi per la sua presenza sul mercato americano; e poi che in questo momento Volkswagen ha altro a cui pensare. Le considerazioni sulle possibilità inespresse di Alfa Romeo rimangono sempre valide.

Queste considerazioni sono però decisamente inattuali. Se non ci sono partner interessati, come dice lo stesso Elkann, non si capisce perchè insistere su un progetto che non ha futuro nel breve medio termine e in cui si rischia solo la magra fugura di continuare a farsi dire di no. Oltre tutto le imprese che FCA coinvolge, loro malgrado, macinano ricavi e utili così come sono. FCA ha lanciato un piano industriale ambizioso che non sembra essere stato incorporato nel titolo. Fiat è alla fine di un piano massiccio di investimenti in nuovi modelli i cui risultati sono invece appena all’inizio. Per fare un paragone calcistico, guardare Fiat oggi è come osservare una partita di una squadra imballata dalla preparazione estiva per poi dare giudizi definitivi su gioco e chance di vittoria finali. 18 mesi fa Fiat era scarica di investimenti e, borsisticamente, volava, mentre oggi arranca. Questo non sarebbe più il momento per trattare una fusione e si dovrebbe rimanere concentrati per presentarsi al meglio al prossimo giro.

Si continua poi a parlare di fusione rischiando di non realizzare pienamente il senso dell’operazione. Un’operazione con un partner tre o cinque volte più grande tecnicamente è una fusione, ma praticamente è una cessione. Ridurre una quota invendibile sul mercato a una partecipazione inferiore al 10% e liquidabile è la necessaria premessa per qualsiasi disimpegno finanziario. Un’ipotesi che la situazione attuale, per esempio, non consente. Ci dimenticheremo quindi presto di fusione perchè i partner non ci sono e perchè non sembra il momento giusto.

Le dichiarazioni di ieri ci ricordano che invece la “fusione” è l’obiettivo strategico di Exor. Si scrive fusione, ma si legge cessione. Eppure i rifiuti degli altri suggeriscono che un’altra strategia è possibile per chi investe e continua a investire con le idee giuste. 





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