ILVA TARANTO/ Così i giudici mettono nei guai anche l’Europa

- int. Patrizio Bianchi

Per PATRIZIO BIANCHI, l’Europa non può permettersi di perdere le competenze dell’Ilva e di trovarsi costretta a importare ingenti quantità di semilavorati per l’industria

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Dopo le dimissioni del Consiglio d’amministrazione dell’Ilva, il governo sta studiando l’ipotesi di un commissario cui conferire l’incarico di emanare le prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). In alternativa, potrebbe essere scelta una figura con compiti più estesi, cui affidare la gestione commerciale e finanziaria del polo siderurgico. Ilsussidiario.net ha intervistato Patrizio Bianchi, professore di Economia applicata all’Università di Ferrara e assessore alla Scuola e al Lavoro della Regione Emilia-Romagna.

Che cosa ne pensa dell’ipotesi di un commissariamento dell’Ilva?

Nel momento in cui il Cda dichiara la sua incapacità a gestire l’azienda, diventa difficile non avere un commissario. La prima domanda cui dobbiamo però rispondere è quale sia lo spazio dell’industria dell’acciaio in Italia. Se passa l’idea che il nostro Paese non abbia bisogno di produrre acciaio, il commissario avrà come mandato quello di portare alla chiusura dell’Ilva e di gestire la fuoriuscita degli operai attraverso un piano del lavoro straordinario per la riqualificazione del territorio. Se invece ci convinciamo del fatto che l’Ilva sia un’impresa la quale, nonostante le enormi difficoltà, ha ancora un futuro dal punto di vista produttivo, allora il commissario dovrà avere come compito il suo rilancio industriale.

Secondo lei, la produzione di acciaio in Italia ha un futuro?

Sì, nel nostro Paese esiste ancora uno spazio importante per produzioni di alta qualificazione nel settore dell’acciaio. Tutto il mondo oggi sta discutendo di un ritorno del settore manifatturiero, perché se si perde il controllo della produzione poi si rinuncia anche al controllo dei servizi. Il commissario è quindi importante, ma bisogna tornare rapidamente a una gestione complessiva che veda il riposizionamento dell’azienda e la riqualificazione delle produzioni, oltre che dell’ambiente.

Nell’ipotesi in cui invece si decidesse di spegnere gli altiforni, quali sarebbero le conseguenze per la nostra economia?

Taranto oggi è il più grande stabilimento siderurgico integrato d’Europa. In questi mesi c’è stato un aumento drammatico delle importazioni nel settore dell’acciaio. La nostra industria ha bisogno di prodotti intermedi che, se non sono trovati in Italia, devono essere acquistati all’estero. L’importazione non produce soltanto un deficit nella bilancia dei pagamenti, ma soprattutto un deficit di competenze. Il settore produttivo italiano, ancorché articolato a livello globale, deve avere sempre più ben strette le competenze nella produzione dei prodotti di base.

E quindi?

Spegnere gli altiforni dell’Ilva sarebbe quindi un danno notevolissimo per il sistema Europa, e non solo per l’Italia. Noi continuiamo a vivere la vicenda di Taranto come se fosse una questione italiana, mentre invece è europea. Da un punto di vista ambientale, la Thyssen in Germania non è messa meglio dei gruppi siderurgici che operano in Italia. C’è una questione acciaio in Europa ed è a questo livello che va riportata la discussione per quanto riguarda l’Ilva.

 

La statalizzazione dell’Ilva può essere una soluzione?

 

La statalizzazione è un’opzione difficilmente sostenibile, perché la soluzione non può essere che lo Stato si accolli il deficit dell’Ilva. Occorre che l’impresa ritorni a essere efficiente e sostenibile nel contesto locale. E’ quindi necessario bonificare il terreno, attraverso un’azione che coinvolge l’impresa, il territorio, il governo italiano e la Commissione Ue. C’è poi un problema di gestione dell’impresa, la quale ha ancora una proprietà che si deve rendere responsabile del processo di riposizionamento. Un commissario serve per la fase di transizione, non si può commissariare un’impresa di queste dimensioni per lunghi periodi.

 

Come valuta invece l’ipotesi di un ingresso di capitali stranieri?

 

In un contesto di economia globale, il problema non sono i capitali stranieri o italiani, ma il fatto di avere regole europee per entrambi. I capitali, da qualunque parte vengano, hanno bisogno di un contesto di regole molto chiare. Bisogna quindi chiarire quale debba essere il percorso di bonifica di quel territorio, per evitare a chiunque arrivi di trovarsi ancora una volta in una situazione non gestibile.

 

(Pietro Vernizzi)







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