L’ONORE DI FARE IMPRESA / Quel “modello Radrizzani” per la successione ADR “3.0”

- int. Flavio Radrizzani

La ADR, multinazionale tascabile degli assali per mezzi agricoli e industriali, prepara il passaggio alla terza generazione. Il presidente FLAVIO RADRIZZANI spiega i segreti di un modello.

flavio_radrizzani Flavio Radrizzani

“La terza generazione alla guida del nostro gruppo? Il leader, i futuri ruoli li definiranno alla fine loro sei: i figli miei e di mio fratello Giancarlo. Tra i miei compiti di presidente di seconda generazione, aiutarli in questo passaggio è uno dei principali”. Flavio Radrizzani, al vertice di ADR gruppo è un presidente operativo: la sua agenda è programmata per settimane. Una fiera in Germania: il baricentro della concorrenza europea nella produzione di assali per rimorchi. Una visita alle sussidiarie in Brasile, dove Adr ha cambiato il modo di coltivare la canna da zucchero. Un salto in Francia, dove ADR ha salvato e rilanciato un marchio storico nel settore Sae-Smb. E poi il Sudafrica e non ultima la Cina, dove dal 2008 abita e lavora Chiara Radrizzani, figlia di Flavio.

Anche per lei – una volta al mese in videoconferenza sul fuso orario – scatta la convocazione: un po’ di brainstorming. A Uboldo, poco a Nord di Milano dove il cuore di ADR non ha mai smesso di pulsare. E’ questi momenti che Flavio – smette un po’ i panni del presidente e veste un po’ quelli di padre-zio-tutor – i tre figli (oltre a Chiara ci sono Daniele e Giovanna) e i tre nipoti (Sara, Ettore, Davide). E un consulente – che da un po’ di tempo ha accettato la sfida di fare da coach a questi momenti molto particolari nell’agenda manageriale e familiare. Sul tavolo vengono posti temi gestionali o strategici: ciascun Radrizzani spunta la propria check-list, a cavallo tra macro-aree di competenza geografica e funzione svolta nella direzione ADR. Un confronto franco, aperto: è chiaro che il presidente lo considera il cantiere del passaggio generazionale, l’incubatore del futuro del gruppo. “C’è una sola premessa ma indiscutibile: gli interessi del gruppo vengono prima degli interessi dei singoli”.

Il gruppo è giovane: nella foto di famiglia che ricorda il giro di boa del 2010 – sul sito della ADR – sono bene in vista anche gli esponenti della quarta generazione. Ma – sembra ieri – quello che oggi è un gruppo di 9 società, 12 unità produttive, 1.300 dipendenti e una presenza ramificata in 45 paese, è nato nel 1954 da due persone: Giovanni Radrizzani e la moglie Antonia. “Mia madre fu decisiva per l’origine della nostra avventura imprenditoriale”, ricorda l’attuale presidente. “Mio padre era un dipendente di un’azienda a Milano e tornava a casa alla sera a Uboldo. Lì mia madre lo convinse a lavorare in proprio con un tornio. Quante volte io e mio fratello abbiamo giocato attorno a mia madre che lavorava alla macchina”.

Ma molto presto anche la seconda generazione dei Radrizzani si mette al lavoro: sono gli anni nei quali la ricostruzione italiana ha fame di guru. E mano a mano che il dopoguerra diventa boom, i torni nel capannone dei Radrizzani diventano più numerosi e cominciano a costruire altro: dischi per ruote per carriole, carretti. Dopo aver rifornito l’edilizia, l’azienda si sviluppa guardando all’agricoltura che si modernizza: la costruzione di assali diventa il focus strategico sul quale i Radrizzani concentrano il loro know how tecnologico e il loro impegno imprenditoriale. Nel 1970 il primo salto: la nascita della ADR Spa segna l’uscita definitiva dalla dimensione artigiana e l’ingresso a pieno titolo nel mondo dell’industria. Nei vent’anni successivi la crescita è continua e supera dapprima i confini italiani, poi quelli europei. Con la guida sempre sicura garantita da assali e sospensioni sempre più sofisticate, testate sia su macchinari agricoli che industriali, la ADR sbarca in Francia, in Gran Bretagna, in Polonia, sfonda in Germania. Diventa un brand conosciuto nel primo cerchio concorrenziale: impara – sottolinea con un sorriso Flavio Radrizzani – che “la cultura tecnica e le normative sugli assali possono essere diversi su una sponda del Reno o sull’altra”. Ma una vera multinazionale tascabile o flessibile – direbbe Alberto Quadrio Curzio – è anche e soprattutto questo.

La globalizzazione strategica è realizzare nel mondo il 70% di 2 miliardi di fatturato. Ma non basta: un gruppo globale è quello che riesce “a cambiare il modo di coltivare la canna da zucchero in Brasile”, con assali autosterzanti che limitano l’impatto sul suolo e ne facilitano la circolazione idrica. Per fare questo, naturalmente, bisogna stanziare budget adeguati per la ricerca e sviluppo, anno dopo anno, selezionare ingegneri e inserirli in un grande gruppo a guida familiare. Ma la gestione del personale dev’essere attenta e flessibile tanto quanto il marketing: “Abbiamo chiamato in squadra quattro saldatori polacchi: rispondono ai nostri standard, sia di capacità professionale che di passione, di voglia di lavorare per ADR”.

E ora? Attira il Vietnam, ma non bisogna perdere la presa in Cina: dove l’agricoltura cresce, ma l’industria non è un settore ancora del tutto aperto agli europei. Gli Usa – ancora costellati di grandi ranch – hanno un parco macchine non evoluto: non così ricco di veicoli capaci di efficienza e affidabilità su tutti i terreni. Il Sudafrica è una frontiera anche per un produttore europeo di componenti meccanici sofisticati. Ma anche la vecchia Europa.

“Al tempo delle vaporiere, un treno si vedeva arrivare da lontano, c’era il tempo di prepararsi” dice Radrizzani. “Oggi non solo i trasporti ferroviari vanno ad alta velocità: un cambiamento nella tecnologia produttiva o nella domanda di un mercato va prevista e preparata con molto anticipo”. Anche la successione al vertice dell’azienda è un fattore strategico per il successo sostenibile di un gruppo.

(Antonio Quaglio)





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