Dobbiamo tornare a investire sulle competenze

- Stefano Colli-Lanzi

Occorre concentrare la gran parte delle risorse sui giovani, che più facilmente e velocemente possono contribuire a ridare linfa vitale a un sistema in profonda crisi

Lavoro_Giovane_SquadraR439 Immagine di archivio

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La crisi che stiamo scontando si protrarrà, quasi certamente, ancora a lungo, non potendo essere risolta con i palliativi che per anni hanno apparentemente fatto sopravvivere il nostro Paese: essa è infatti legata in modo inscindibile e assai pericoloso a un grave depauperamento del capitale umano. Immersi in una cultura che ci ha abituati a concepire il lavoro come un diritto, a prescindere da ogni responsabilità in termini di costruzione di valore, ci siamo infatti ridotti non solo a non investire – come sarebbe stato certamente opportuno – ma addirittura a disinvestire sulle competenze professionali delle persone.

L’esito devastante di tale miopia diffusa sta nel fatto che, in questo modo, abbiamo creato con le nostre stesse mani un ulteriore ostacolo per un’auspicabile ripresa, che potrà essere colta solo se riusciremo a ricostruire un nesso chiaro tra lavoro e valore prodotto. Essa non giungerà infatti né sull’onda di “facili” – e non più realistici – aiuti statali o comunitari, né come esito dell’effetto dopante delle teorie berlusconiane sulla crescita legata ai consumi realizzati a debito.

In questa difficile situazione, se agire sulle competenze dei cinquantenni – costretti ad andare in pensione fra non meno di vent’anni – rappresenta una priorità non scevra di difficoltà, risulta invece quasi delittuoso non concentrare la gran parte delle risorse sui giovani, che più facilmente e velocemente possono contribuire a innestare una preziosissima linfa vitale in un sistema come il nostro, profondamente incancrenito.

Su questo tema, tuttavia, le premesse non sono certo delle migliori. In primis, perché ci troviamo davanti a un atteggiamento generale da parte dei giovani che oscilla tra rassegnazione e ribellione, faticando a trovare la strada di un coinvolgimento responsabile. Secondariamente perché disponiamo di un sistema scolastico che sforna persone spesso impreparate, persino rispetto alle competenze di base, e così nichiliste da non curarsi minimamente dei più semplici codici di comportamento personale.

Del resto, anche il collegamento tra scuola e mondo del lavoro o non esiste o, laddove c’è, finisce per allontanare i giovani e deresponsabilizzarli anziché coinvolgerli positivamente. Infine, perché l’attuale sistema imprenditoriale è portato avanti da adulti sempre meno interessati e disponibili a occuparsi dell’educazione delle “nuove leve” e di una loro efficace introduzione all’esperienza lavorativa.

Di quali contributi abbiamo dunque bisogno per far fronte a una tale situazione? Dal punto di vista culturale, i giovani hanno sempre più bisogno di esempi positivi: di persone mature all’interno di famiglie, imprese, comunità umane e istituzioni che mostrino loro l’esperienza del lavoro intesa come una grande possibilità di costruzione personale e sociale, una positiva assunzione di responsabilità per se stessi e per il mondo. Sul versante politico, invece, emerge sempre di più la necessità di riformare il sistema scolastico in modo definitivo.

Questo può avvenire smontando il principio dell’esclusività statale dell’erogazione del servizio scolastico pubblico – lasciando allo Stato la governance centrale -, e attivando un autentico sistema paritario, governato dallo Stato, capace di avvalersi sia della scuola pubblica che di quella privata per un’efficace proposta di valore: dove sia la famiglia a poter scegliere, a parità di costo, la migliore qualità di insegnamento. Occorre inoltre rendere stabili, sotto il medesimo modello di governance, anche i percorsi scolastici professionali che – come accade, ad esempio, nel sistema duale tedesco – devono consentire ai giovani di imparare quanto occorre, attraverso un’adeguata combinazione scuola-lavoro, senza che venga loro preclusa la possibilità di successivi percorsi di studio anche universitari.

Per facilitare, infine, il mondo delle imprese a dare il proprio contributo, può essere opportuno incentivare ulteriormente l’apprendistato, abbattendo del tutto gli oneri sociali e riducendo per legge i minimi retributivi previsti per gli apprendisti, così da spingere fortemente le imprese a farsi carico di progetti di medio-lungo termine, basati su forti investimenti formativi.

La strada che ci attende è dunque ancora lunga, ma questo Paese ha sempre dimostrato di riuscire a fare velocemente i passi che decide di compiere. Agire in modo deciso e repentino a favore dei giovani costituisce oggi una priorità assoluta, il punto di ri-partenza.







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