IL CASO/ Lavoro, a Monti basta un “pareggio” per vincere

- Pietro Davoli

La riforma del lavoro è in discussione dopo che sono andate in porto altre manovre del governo. Per Monti sarà decisivo superare alcune importanti resistente. L’analisi di PIETRO DAVOLI

Operai_linea_FiatR400 Foto Imagoeconomica

Il governo Monti ha studiato molto attentamente la sequenza degli eventi e ha collocato la riforma del lavoro dopo altre manovre per sfruttarne l’effetto trainante e una conseguente accresciuta credibilità. In questo articolo cercherò di descrivere la situazione attuale a prescindere dalle mosse precedenti, ma è fondamentale sapere che anche questa partita si colloca all’interno di un disegno complessivo.

Le resistenze da superare

Sono molteplici.

A) Sindacali

Sono le più immediatamente percepibili, ma non le più pericolose. Il sindacato appare oggi impegnato più a tutelare il proprio ruolo che non gli interessi dei lavoratori. Il punto che difende con maggior vigore è la concertazione, cioè il potere di condizionare le scelte. Non accetta di vedere il proprio ruolo ridotto alla consultazione. Se perde il diritto di veto pensa che gli venga a mancare la parte più significativa del proprio ruolo. Da anni ha perso di rappresentatività, come dimostra il fatto che i giovani non si iscrivono, e cerca di recuperarla nel modo sbagliato, difendendo il proprio ruolo e non gli interessi di tutti i lavoratori. Per questo è intrinsecamente debole.

B) Culturali

Il Paese si è adattato, negli anni, a vivere in una condizione in cui la rigidità è diventata la regola, per cui il cambiamento, se non impossibile, è sempre più difficile; il merito non è più considerato, come è dimostrato dai tanti italiani di talento costretti a emigrare o ad accettare lavori poco qualificati. Oggi la maggioranza degli italiani non crede che si possa passare dalla difesa del posto di lavoro alla difesa del lavoratore, perché, per riuscire in questo passaggio, occorrerebbe alterare troppi equilibri.

C) La magistratura

L’articolo 18 non sarebbe un problema se non fosse sistematicamente distorto dalla magistratura. Il testo dell’articolo è pienamente accettabile, la sua interpretazione no. La magistratura ha due gravi difetti. Il primo è che spesso si assume il compito di combattere la corruzione e non quello di condannare i corrotti. Travalicando il proprio ruolo altera gli equilibri e finisce per fare molto più danno rispetto all’utilità generata. Il secondo è una dannata voglia di protagonismo. Molti magistrati farebbero qualunque cosa pur di essere al centro dell’attenzione. Per rendersene conto basta pensare che la stragrande maggioranza dei processi, soprattutto quelli più importanti, quando in primo grado c’è una sentenza di condanna, in secondo grado si arriva a una assoluzione (o viceversa). Quello che conta è arrivare al terzo grado di giudizio e così continuare a rimanere al centro dell’attenzione. L’inefficienza della giustizia ha effetti pervasivi sul contesto e non può non influenzare anche il mercato del lavoro.

D) Vincoli finanziari

Alla fine è con le risorse economiche che bisogna fare i conti. Facile essere d’accordo su riforme che amplino le tutele e i diritti. Difficile è capire dove reperire le risorse. Il Governo vorrebbe una riforma senza oneri per lo Stato, cioè finanziata con il contributo delle aziende e dei lavoratori. Le aziende, in cambio di una maggiore capacità di gestione e per la possibilità di adattarsi più facilmente ai cambiamenti, dovrebbero pagare un premio, una specie di assicurazione che garantisca la tutela di chi perde il posto di lavoro. Le aziende sostengono che non possono essere gravate da ulteriori oneri. I lavoratori che già subiscono il “cuneo fiscale” chiedono una decurtazione degli oneri a loro carico. Il sindacato sostiene che se si vuole un minimo di equità occorre operare in termini redistributivi, cioè usare le leggi per dare a chi ha meno prelevando dai più abbienti. Detto così sembrerebbe che siamo in un vicolo cieco, ma quando si arriva a parlare di soldi si è buon punto, perché vuol dire che i pregiudizi ideologici sono stati superati e sui soldi si può trovare spesso un accordo.

 

Le forze che spingono verso il cambiamento

 

A) Assoluta esigenza di cambiamento

Abbiamo i salari più bassi d’Europa, una disoccupazione elevata che raggiunge punte drammatiche tra i giovani, pochissime aziende straniere vengono a investire in Italia, molti dei nostri giovani emigrano all’estero mentre non siamo in grado di attrarre i laureati delle migliori università internazionali. Sposarsi, costruirsi una pensione, ottenere un mutuo, mettere al mondo dei figli, tutto è drammaticamente difficile. Senza un futuro, senza una meta percepita come raggiungibile, anche le migliori energie fanno fatica a trovare un utilizzo.

 

B) Elevata possibilità di guadagno

Il lavoro è la principale ricchezza di una nazione. Oggi in Italia assistiamo a una drammatica distruzione di ricchezza. Cambiando le regole, garantendo una più corretta allocazione delle risorse, potremmo pensare a 6-9 milioni di persone in mobilità. Non si tratta solo di trovare posto ai disoccupati, ma utilizzare meglio risorse bloccate dalla paura di non poter cambiare senza gravi rischi.

 

C) Caduta dei muri

In pochi mesi stiamo assistendo a cambiamenti prima ritenuti impossibili. Si tratta di un processo a cascata in grado di generare ulteriori cambiamenti. Alcune rigidità erano possibili in un Paese bloccato, ma diventano completamente indifendibili quando vengono a mancare alcuni equilibri. Non si tratta di essere contro o a favore di un particolare (per esempio, l’articolo 18), ma capire che sta cambiando l’intero sistema di riferimento

D) Risorse economiche

Il Governo è stato particolarmente attento a non suscitare aspettative e a evitare accordi “pagati da altri”. Ha detto no al tesoretto, pur impegnandosi a combattere l’evasione, a creare le condizioni per abbassare lo spread e di conseguenza ridurre gli oneri finanziari, ma soprattutto prodigandosi per avviare la crescita. Se cresce il Pil potrebbero esserci risorse per alimentare la spirale virtuosa e dar vita a un nuovo miracolo economico.

 

Conclusione

Molti non sono d’accordo con il Governo e vi sono tantissime critiche nei suoi confronti, come è inevitabile nei confronti di chiunque opera su tanti fronti. Quello che è certo è che Monti prima ha provocato la spinta e poi la sta utilizzando per arrivare ad affrontare il tema del lavoro inserendolo in un contesto di cambiamento complessivo di cui si è sforzato di illustrare le linee fondamentali, evidenziandone anche le difficoltà, ma soprattutto i vantaggi.

Oggi in Italia le forze del cambiamento sono superiori a quelle della conservazione e si è messo in moto un processo grazie al quale i successivi cambiamenti diventano più agevoli. Dopo una lunga spirale negativa, ora abbiamo imboccato una spirale positiva e una corretta riforma del lavoro segnerà un’altra importante tappa di questa evoluzione.





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