RIFORMA PENSIONI/ Airaudo (Sel): no alla flessibilità, abbassiamo l’età minima (ma non per tutti)

- int. Giorgio Airaudo

Secondo GIORGIO AIRAUDO, i pensionati sono già stati danneggiati da svariati provvedimenti. Non è pensabile introdurre ulteriori penalizzazioni, come quelle previste dalla proposta Damiano

operai_acciaio_altofornoR400 Infophoto

Si continua a parlare della riforma delle pensioni. Ma solo a parlarne. Il governo affrontare i nodi da sciogliere solo dopo l’estate. Lo ha fatto sapere di recente il sottosegretario al Welfare, Carlo Dell’Arringa. D’altro canto, è opinione comune che le emergenze siano altre e che modificare la disciplina oggi o tra alcuni mesi non cambierà le sorti né del Paese, né dei pensionati. Resta il fatto che, prima o poi, si dovrà intervenire. Introducendo un meccanismo di flessibilità che consenta di scegliere quando andare in pensione, entro una forbice compresa tra i 62 e i 70 anni. Il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano ha proposto che ogni hanno d’anticipo o di ritardo a partire dai 66 anni comporti, rispettivamente, una penalizzazione o riduzione del 2% dell’imposto dell’assegno pensionistico. Ipotesi che non piace per nulla a Giorgio Airaudo, deputato di Sel e membro della commissione Lavoro.

Cosa ne pensa del fatto che la normativa Fornero sarà ritoccata solo dopo l’estate?

Mi sembra una contraddizione, considerando che Letta ne aveva parlato nel suo discorso di insediamento, ma pur sempre coerente con quello che questo governo ha fatto finora. In sostanza, stanno semplicemente guadagnando, tempo. Resta il fatto che se la riforma che hanno in mente prevede disincentivi rispetto all’uscita anticipata, è meglio che non la facciano. Farebbero pagare per l’ennesima volta ai lavoratori l’aspettativa di vita; che è già stata scontata attraverso il passaggio dal retributivo al contributivo e il blocco l’indicizzazione all’inflazione (una specie di segreto nazionale, dato che non si conoscono gli addendi con cui viene calcolata).

Lei, quindi, è contrario alla proposta Damiano?

Sì, perché scarica sui lavoratori i problemi del sistema.

Come crede che vada cambiata, quindi, le legge Fornero?

In maniera radicale, anche se capisco bene che questo governo formato da Pdl, Pd e Scelta civica fa fatica ad assumere un’ipotesi del genere. In ogni caso, è necessario abbassare l’età pensionabile. 67 anni tendenti a 70 sono troppi, tant’è vero che è l’età più alta in Europa. Sarebbe necessario, in tal senso, distinguere tra lavori in base agli effetti che producono sulle aspettative di vita. E questo è assolutamente possibile farlo, visto che si tratta di rilevazioni che le assicurazioni private o la medicina effettua di consueto. Ci sono lavori che non si possono fare a 65 anni, ma neppure a 64 o 63, come l’infermiere, la maestra d’asilo o  la catena di montaggio, o altri, come il professore universitario, che si possono continuare fino a a70 anni.

Come crede che vada risolta, quindi, la vicenda degli esodati?

Abbiamo presentato una proposta che prevede la salvaguardia di tutti i lavoratori interessati attraverso un fondo che sarà finanziato a seconda delle esigenze e non come adesso che è a esaurimento. L’abbassamento dell’età pensionabile, inoltre, è funzionale anche a risolvere la vicenda degli esodati. Gran parte dei quali, in realtà, sono veri e propri licenziati che, a causa dell’inasprimento dei requisiti non riescono ad andare in pensione.

 

Dove si trovano le risorse per fare tutto ciò?

E’ un problema di volontà politica. Si può, per esempio, aumentare la tassazione sulle frequenze radiotelevisive, usare in  maniera diversa i proventi dell’Imu o regolamentare la tassazione del gioco d’azzardo che, attualmente, è decisamente instabile (posto che, a mio avviso, andrebbe limitato: solo in Italia esiste una correlazione così alta tra pensioni basse e patologie legata a una ricerca disperata di fortuna).

 

Lei è favorevole a un prelievo sui redditi e sulle pensioni superiori a 90mila euro?

Direi di sì. Si possono trovare varie formule: un prelievo piccolo e permanente, o straordinario e significativo potrebbero rappresentare un importante segnale sul fronte dell’equità, benché, dal punto di vista quantitativo, senza grandi effetti. 







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