DISOCCUPAZIONE RECORD/ Forte: no al Job Act, meglio i contratti di Marchionne

- int. Francesco Forte

Per FRANCESCO FORTE, il contratto che serve all’Italia non è il Job Act. La questione vera, è quella dei contratti di Marchionne, ancora più di attualità dopo che Fiat si è fusa con Chrysler

marchionne_applauso_phixr Sergio Marchionne (Infophoto)

«Ciò di cui c’è bisogno per guarire un malato grave quale è il lavoro in Italia è esattamente il contrario delle “aspirine” di Matteo Renzi». Lo afferma Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, nel momento in cui l’Inps segnala un aumento delle domande di disoccupazione e l’Istat certifica il record dei giovani senza lavoro. Frattanto il segretario del Pd sta lavorando alla bozza delle sue proposte per il lavoro. In queste ore i tecnici del Partito Democratico stanno limando la bozza del documento, e al centro del testo c’è la volontà di rendere il lavoro maggiormente libero da vincoli burocratici.

Professor Forte, ci spieghi meglio il suo punto di vista sul Job Act di Renzi…

Il Job Act è un miscuglio di iniziative e proposte abbastanza vaghe e indefinite come il rilancio del Made in Italy e il turismo dei beni culturali, che pur essendo ovvie andrebbero formulate meglio. L’ulteriore tassazione delle rendite finanziarie va inoltre nella direzione contraria a quella che è necessario percorrere per il rilancio della nostra economia. Stando alle affermazioni di Renzi, una modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sarebbe secondaria, mentre nella realtà è fondamentale. Va superato l’empasse della riforma Fornero, che è rimasta estremamente vaga e ha complicato forse le cose.

L’articolo 18 va modificato o abolito?

Occorre consentire i licenziamenti per ragioni disciplinari legate a violazioni del contratto. Questi ultimi rientrano nel licenziamento per giusta causa già previsto dall’articolo 18, ed è quindi necessario chiarirlo una volta per tutte. È necessario inoltre stabilire che in sede di assunzione le parti possano convenire che i temi dell’articolo 18 siano devoluti a un arbitrato e non alla magistratura ordinaria. Lo storico leader socialista Filippo Turati è stato uno dei primi a sostenere che i temi del lavoro possono essere meglio decisi in sede di arbitrato anziché dai tribunali.

Il contratto che serve all’Italia quindi non è il Job Act di Renzi?

No. La questione vera, elusa da Matteo Renzi, è quella dei contratti di Marchionne, ancora più di attualità dopo che Fiat si è fusa con Chrysler. Ciò presuppone due ordini di problemi. Il primo è che i contratti sul modello di Marchionne vanno legalizzati, e quindi bisognerà approvare una norma sulle rappresentanze sindacali. Inoltre, i cosiddetti “contratti precari” vanno tutti resi liberi e flessibili, sia in entrata sia in uscita. Ma soprattutto è necessaria la flessibilità di contratto sul modello tedesco. Il vero Job Act esiste già ed è la legge sul lavoro che esiste in Germania, basterebbe copiarla per dare una svolta anche nel nostro Paese.

In che modo è possibile convincere le imprese a restare in Italia?

Se Renzi vuole rilanciare il Made in Italy consentendo alle imprese tipicamente italiane di continuare a operare nel nostro Paese, dovrebbe modificare le norme penali, che hanno obbligato molte imprese ad andarsene dall’Italia. Mi riferisco in particolare alla responsabilità oggettiva dei consigli d’amministrazione, alla retroattività delle norme penali e tributarie, al fatto che la legge italiana preveda il carcere per l’amministratore delegato nel caso di evasione fiscale della sua società. È questo insieme di problemi che porterà Fiat a trasferire la sua sede centrale nei Paesi Bassi o magari negli Stati Uniti.

 

E quindi?

Quindi le vere questioni non sono quelle di cui Renzi sembra essere più preoccupato. Le sue proposte sono “spolverini leggeri” che non incidono sulla sostanza dei problemi. Nel frattempo il segretario del Pd si incontra con Landini e simpatizza con lui, ma soprattutto non ha ancora scelto tra la Cgil da un lato e la Cisl che invece è a favore dei contrati liberi.

 

(Pietro Vernizzi)





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