IL CASO/ La ricetta di Renzi non basta a ridare lavoro a 2 milioni di giovani

- int. Mario Mezzanzanica

Per MARIO MEZZANZANICA, i Paesi Ue più avanzati hanno investito risorse per favorire lo sviluppo di politiche che migliorino il rapporto tra scuola e lavoro

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Tra il secondo trimestre 2008 e lo stesso periodo del 2014 si sono persi oltre due milioni di occupati tra i 25 e i 34 anni. Sono le conseguenze della crisi sul lavoro degli under 35 calcolato dall’Ansa utilizzando i dati Istat. Una situazione che per Mario Mezzanzanica, docente di Sistemi informativi nell’Università di Milano-Bicocca, non è stata causata soltanto dalla recessione economica ma anche da politiche sbagliate dei nostri passati governi nel campo dell’integrazione tra scuola e lavoro.

Come si spiega il dato sui 2 milioni di posti di lavoro persi?

Questo dato è un segno evidente della crisi in atto che colpisce soprattutto i giovani. E’ inoltre evidente che il dato andrebbe corretto per il fatto che i giovani sono introdotti al lavoro soprattutto attraverso degli stage. C’è una quota significativa di popolazione giovanile che non fa parte ufficialmente del mondo del lavoro, ma ne fa parte di fatto pur non essendo considerata nei numeri dell’Istat.

Che cosa si può fare per rilanciare l’occupazione giovanile?

In questi anni di crisi tutti i Paesi europei più avanzati hanno investito risorse per migliorare la relazione che esiste tra scuola e lavoro e per favorire lo sviluppo di politiche che integrino questi due ambiti. I Paesi europei che oggi hanno la migliore occupazione giovanile sono quelli che negli ultimi decenni hanno attuato questi investimenti. Il nostro Paese purtroppo ha fatto pochissimo da questo punto di vista.

In che modo si può migliorare l’integrazione tra scuola e lavoro in Italia?

Il concetto di fondo è che le imprese fanno parte di un tessuto sociale cui appartiene anche la scuola. Oggi esistono poche relazioni tra il mondo delle imprese e quello dell’istituzione scolastica. Il sistema italiano fino a pochi decenni fa prevedeva che le scuole di formazione professionale e quelle tecniche fossero un’eccellenza perché avevano uno stretto legame con le aziende. Oggi questo legame si è sciolto in seguito a politiche dei passati governi italiani che hanno danneggiato le nostre stesse eccellenze.

Il progetto Garanzia giovani sta dando risultati?

Questo progetto è stato attivato da poco. Le Regioni hanno inserito diverse “mance” nell’approccio a questo problema, ma i primi numeri del ministero non sono esaltanti. A mancare è una capacità di prendere in carico il problema dei giovani in modo significativo per come si presenta.

L’idea di incentivi economici per l’occupazione dei giovani non è la strada giusta? 

E’ senz’altro la strada giusta. Il problema è che per creare posti di lavoro per i giovani bisogna creare delle politiche che siano loro favorevoli. Forse non siamo molto stati bravi ad attivarle attraverso servizi che siano in grado di favorirne lo sviluppo. Siamo il Paese più indietro nei servizi, e questo probabilmente incide. D’altra parte c’è un problema oggettivo di aziende che non hanno la capacità, per le difficoltà che vivono in questo momento, di inserire dei giovani nel mercato.

 

Che cosa ne pensa del bonus per le assunzioni previsto dalla legge di stabilità?

Secondo quanto stabilisce la manovra, chi assume con contratto a tutele crescenti non paga determinati contributi. Questa misura sarebbe un fatto importante soprattutto se sarà inserita all’interno di altre politiche come ad esempio la riduzione dell’Irap per le imprese e a misure per lo sviluppo per sostenere la crescita delle piccole e medie imprese. Il bonus per le assunzioni cioè da solo fa poco, va inserito in un contesto più ampio, e proprio per questo valuto positivamente il taglio dell’Irap.

 

Non sarebbe stato meglio estendere il bonus anche alle assunzioni a tempo determinato e alle partite Iva?

Penso che questa scelta faccia parte della politica del governo, che vuole favorire l’ingresso con contratto a tutele crescenti, e nell’attuale situazione del Paese questo è un fatto positivo. In questo modo ci si comincia ad accorgere che la situazione del mercato del lavoro non è più quella di una volta, e che il posto fisso per sempre non esiste più.

 

(Pietro Vernizzi)





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