SPILLO/ Regioni e scuole, i “vizi” italiani che tolgono lavoro ai giovani

- Massimo Ferlini

A distanza di due mesi dal lancio ufficiale in Italia del programma, MASSIMO FERLINI fa un punto sulla Garanzia Giovani, che rischia di rivelarsi un vero e proprio flop

Computer_Pc_MouseR439 Immagine di archivio

Cari amici del Sussidiario,

Vorrei quasi chiedere scusa per la tesi che ho sostenuto. Il mio errore è stato credere nella Garanzia Giovani, non in ciò che ho sostenuto. Voi avete la prova. L’articolo scritto nel luglio 2013 voleva avviare un dibattito su un grande e unico programma europeo che proponeva a tutti i paesi di rendere più facile i percorsi scuola-lavoro e l’avviamento al lavoro dei giovani disoccupati. Mi sono illuso che in Italia potesse diventare l’occasione per cercare di risolvere i mali antichi.

Nell’estate passata si è aperto il dibattito perché il programma avrebbe dovuto avviarsi con l’inizio del 2014. L’idea principale era segmentare i servizi di politica attiva secondo i percorsi scolastici che si concludevano e offrire servizi attivi per quei giovani che sul mercato del lavoro erano già presenti. Allora richiamavo anche l’importanza di utilizzare la formazione professionale, abbinata all’apprendistato di primo livello, per affrontare quel 18% di abbandono scolastico che ritengo essere una grave lacuna di occupabilità per molti giovanissimi.

Non solo io, ma molti altri commentatori si sono attardati a misurare i diversi target giovanili: chi arrivava post-diploma, chi post-percorsi universitari, chi da altri percorsi formativi, chi da tempo, e magari ormai scoraggiato, cercava una occupazione. Obiettivo unico, offrire entro quattro mesi un’esperienza lavorativa attraverso strumenti diversi perché personalizzati per i diversi target da affrontare.

Centrale era la constatazione che i nostri servizi pubblici al lavoro non sono in grado, perché poco sviluppati e poco attrezzati, ad affrontare un programma così intenso. Ma se mettiamo in campo scuole e università, che sono abilitate dalla legge a operare nell’intermediazione di lavoro, e anche le Agenzie per il lavoro che svolgono servizi analoghi, il nostro Paese può mobilitare una rete di servizi adeguatamente diffusa. Fare rete territoriale fra tutti questi attori diventava indispensabile e l’assenza di un’agenzia nazionale capace di assicurare il coordinamento era un handicap non di poco conto. Ma l’occasione di avere un unico programma per tutti i giovani d’Europa avrebbe smosso le acque e spinto anche il nostro Paese ad affrontare il tema mettendo in campo le agenzie esistenti a svolgere un ruolo nuovo e più utile.

Dopo un anno devo prendere atto che la pura conservazione burocratica nascosta in mille rivoli, dai cultori dell’autonomia regionale fino ai difensori della centralità dei Centri per l’impiego pubblici, passando per responsabili scolastici che non vogliono misurarsi con i servizi al lavoro, stanno prevalendo sul bisogno di lavoro dei giovani.

Formalmente il programma Garanzia Giovani è partito. Vi è un sito nazionale in cui registrarsi e poi chi si è inserito sarà contattato dal Cpi territoriale di riferimento per l’avvio delle proposte. I quattro mesi di tempo previsti per una proposta inizieranno da questo momento. Da qui in poi 21 programmi regionali diversi tra di loro saranno l’attuazione della Garanzia Giovani all’italiana. A oggi quasi 100.000 giovani hanno caricato il loro desiderio di lavorare accedendo al sito nazionale. La maggioranza risiede nelle regioni dove la difficoltà a trovare lavoro risulta maggiore.

Molti di loro hanno indicato la disponibilità a spostarsi in regioni dove l’economia ha retto meglio a questi anni di crisi. Chi si farà carico di questa disponibilità visto che i Cpi hanno già difficoltà a creare incontri fra domanda e offerta di lavoro nel loro territorio di competenza? Servirà altro tempo per sviluppare progetti di mobilità territoriale nazionale visto che non vi è lavoro in rete fra i diversi territori e i programmi sono diversi fra regione e regione? I giovani che stanno sostenendo in questi giorni gli esami finali per il diploma, se non proseguiranno negli studi, avranno entro dicembre una proposta di lavoro e sanno a chi devono rivolgersi per chiedere?

Se la risposta è negativa, o anche solo se le risposte sono 21 e non una, abbiamo sprecato un’occasione per fare un salto di qualità ai servizi al lavoro del nostro Paese. Continueremo ad avere una spesa eccessiva nelle politiche passive di sostegno al lavoro e non saremo stati in grado di avviare un grande programma di politica attiva rivolta alla fascia di disoccupazione che dovrebbe avere la maggiore attenzione dalle istituzioni.

Nei 21 programmi regionali vi saranno certamente iniziative lodevoli e avanzate. Conosco bene i dati lombardi, so già che con gli strumenti esistenti circa il 60% dei giovani inseriti in un programma di politica attiva trovano una collocazione. Ma l’obiettivo di Garanzia Giovani era di dare un’opportunità a tutti, in tutto il Paese con un progetto comune, e ciò oggi non è rilevabile.

Da ormai anziano migliorista so che chiedere l’impossibile non aiuta a fare progressi. Il lavoro non si può inventare, è necessaria una ripresa economica più generale. Le politiche di sostegno possono solo migliorare l’incontro fra domanda e offerta esistenti e se la domanda delle imprese è limitata avremo un saldo finale negativo. Ma proviamo ad affrontare il problema in un modo diverso. Seppur tante, le risorse europee sono solo una parte di quanto servirebbe per un programma a carattere universale. Serve un investimento aggiuntivo nazionale e non possiamo permetterci che vada sprecato o addirittura porti ad aumenti permanenti di spesa pubblica. Perché allora non definire nazionalmente che, pur nel rispetto delle autonomie regionali, nell’organizzare i servizi, i fondi vengono erogati a risultato, cioè assegnati realmente a giovani che trovano un inserimento lavorativo?

Anche solo questo mutamento organizzativo metterebbe al centro il bisogno di lavoro, la persona sarebbe libera di rivolgersi a sportelli pubblici o privati, servizi al lavoro o sportello scolastico, scegliendo sulla base di chi gli da più fiducia. Solo se in grado di assicurare il risultato l’agenzia coinvolta riceverebbe il compenso per i servizi erogati. Il fare rete fra gli operatori sarebbe indotto dall’aumento di efficacia che otterrebbero, i confini istituzionali sarebbero fittizi perché prevarrebbe la ricerca di opportunità. Ma soprattutto i giovani saprebbero che hanno un diritto, dove possono esercitarlo e dove chiedere conto del perché non hanno eventualmente ottenuto risposta.





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