JOBS ACT/ 1. Gli “strafalcioni” su co.co.pro., apprendistato e mansioni

- Gabriele Fava

Fra errori, sviste e contenuti poco chiari, che ci illustra GABRIELE FAVA, i decreti attuativi del Jobs Act hanno ricevuto ieri l’approvazione dal Consiglio dei ministri

Poletti_BraccioR439 Giuliano Poletti (Infophoto)

Fra errori, sviste e contenuti poco chiari, i decreti attuativi del Jobs Act hanno ricevuto l’approvazione dal Consiglio dei ministri. Vediamo gli elementi che costituiranno da domani il nuovo scheletro su cui l’esecutivo intende formare il mercato del lavoro in Italia.

Sin da subito si rileva un’anomalia, in merito al campo di applicazione del contratto a tutele crescenti, laddove si prevede l’estensione nel caso di “conversione” del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. Più correttamente, si sarebbe dovuto parlare di “prosecuzione” del contratto di apprendistato e non di “conversione”, tenuto conto che si tratta di un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti. Proprio in virtù della natura del contratto, sarebbe stato più conforme estendere a esso l’applicazione delle tutele crescenti, sin dalla sua stipula. Inoltre, proprio in forza del fatto che si tratta di un contratto a tempo indeterminato, lo stesso ministero del Lavoro (vedi decreto direttoriale n.1486 del 26/01/2015) ammette l’estensione degli incentivi del bonus della Garanzia giovani anche ai contratti di apprendistato professionalizzante. Pertanto non può non rilevarsi che il legislatore, con tale previsione, entra in evidente contraddizione con se stesso.

Scorrendo il testo del dispositivo, desta stupore la repentina abrogazione del co.co.pro a partire dal 2016 e la possibilità di poter utilizzare questa forma contrattuale solo mediante accordi sindacali, in ragione di particolari esigenze produttive e organizzative. Ci si chiede, sul punto, che fine faranno la moltitudine di contratti a progetto stipulati dai call center per i quali l’abolizione dei co.co.pro. potrebbe significare la perdita del posto di lavoro. Di sicuro, tale scelta non rappresenta una misura per incentivare l’occupazione.

Restando nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo, viene prevista la possibilità, per il datore di lavoro, di estinguere gli illeciti previsti in materia di obblighi contributivi assicurativi e fiscali in caso di erronea qualificazione del rapporto di lavoro con soggetti con i quali abbia stipulato contratti di co.co.co., anche a progetto, a patto di procedere all’assunzione a tempo indeterminato di tali soggetti. Tuttavia, non vi è alcun cenno se, anche in ordine a tali trasformazioni, sia estesa l’applicazione delle tutele crescenti. Il legislatore, infatti, dove ha voluto precisare i casi in cui la trasformazione o “conversione” del rapporto di lavoro può dare luogo alle tutele crescenti, lo ha fatto esplicitamente (vedasi contratti a tempo determinato o apprendistato), mentre manca un riferimento anche ai casi di passaggio da lavoratore autonomo a lavoratore subordinato a tempo indeterminato. Anche in questo caso sarebbe stato opportuno prevedere l’applicazione delle tutele crescenti a tutte le ipotesi di trasformazione o riqualificazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Uno dei decreti contiene anche una previsione che sembra un’assoluta novità, ma che in realtà non lo è affatto. Essa attiene alla possibilità di modificare le mansioni lavorative, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, mediante la stipula di un accordo individuale in sede sindacale. Ebbene, si rileva che accordi di questo tipo sono una realtà che ormai la produzione giurisprudenziale ha avallato e legittimato da diversi anni e che trova massimo sostegno in una paradigmatica pronuncia delle Sezioni Unite (cfr. Cass.,sez. unite, 24 novembre 2006,n. 25033).

Quanto all’applicazione delle tutele crescenti, è confermato che resta limitata ai soli lavoratori assunti a partire dall’entrata in vigore del decreto in esame, dando vita a due diverse discipline per la stessa categoria contrattuale di appartenenza dei lavoratori. Pertanto, per trovare un’adeguata composizione al dualismo che sarà presente all’interno delle aziende, queste ultime saranno obbligate a un più serrato e aspro confronto con le parti sindacali. Inoltre, si pensi alle ipotesi di licenziamento collettivo, laddove nello stesso sito interessato dalla procedura siano presenti lavoratori cui sono applicabili due diverse tutele: coloro ai quali, ad esempio, nel caso di mancata applicazione dei criteri di scelta sarà applicabile il solo regime risarcitorio previsto da Jobs Act, e coloro ai quali, assunti prima dell’entrata in vigore del presente decreto, troverà applicazione la tutela reale. È evidente che ciò produrrà un aumento del contenzioso e un incremento ingiustificato dei costi per le aziende. Sembra più che legittimo porsi forti dubbi di costituzionalità della legge, che è destinata a trovare presto un’armonizzazione a opera della Corte Costituzionale.

Se questo intervento legislativo doveva costituire, nelle mire del Governo, il passo più importante per la liberalizzazione del mercato del lavoro, a oggi gli auspicati effetti positivi sembrano molto distanti.







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