GIOVANI E LAVORO/ Quei tirocini “fuorilegge” usati dalle Regioni

- Giancamillo Palmerini

In alcune Regioni, spiega GIANCAMILLO PALMERINI, i fondi europei sono stati utilizzati per avviare tirocini nelle pubbliche amministrazioni, non dando così un buon esempio

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Come ormai ben noto, con una raccomandazione dell’aprile 2013 l’Unione europea ha previsto l’istituzione di una “Garanzia per i Giovani” volta a garantire ai cittadini con meno di 25 anni (il nostro Paese ha previsto una deroga fino a 29) un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o di tirocinio o altra misura di formazione entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale.

In particolare, vista anche la difficile situazione economica e il rischio che si corre per cui l’offerta di lavoro da parte dei giovani rischia di rimanere complessivamente maggiore della domanda, il Piano italiano di attuazione del Progetto sottolinea come i tirocini possano rappresentare, in linea con le indicazioni comunitarie in materia, una prima modalità di ingresso nel mondo del lavoro.

In questo quadro, almeno secondo l’Isfol che ha rilasciato alcuni mesi fa un’interessante prima mappatura finanziaria sull’attuazione della Garanzia, risulta che le Regioni, nel complesso, abbiano deciso di scommettere, e investire, in primo luogo, proprio sui tirocini. Se, quindi, le risorse destinate a tale misura rappresentano, complessivamente, il 21,3% del totale, in alcune regioni tali percentuali sono notevolmente più significative. In Friuli Venezia Giulia, ad esempio, si arriva addirittura al 53,5%.

Il ministero del Lavoro ha così precisato nei giorni scorsi, proprio in risposta alle richieste di delucidazioni arrivate da alcune Regioni nei mesi precedenti, che attraverso l’attivazione dei percorsi di tirocinio si intende favorire l’inserimento e/o il reinserimento nel mondo del lavoro di giovani disoccupati e/o inoccupati e che, quindi, tali dispositivi, perlomeno quelli attivati nel quadro della Garanzia, devono prevedere uno sbocco lavorativo almeno in potenza. 

Ne discende, ovviamente, che non abbia alcun senso che vengano attivati tirocini all’interno di uffici pubblici dal momento che, almeno a Costituzione vigente, al termine del percorso formativo non vi è alcuna possibilità per queste amministrazioni di assumere i giovani. La nostra legge fondamentale, all’articolo 97, stabilisce, infatti, che, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si acceda mediante concorso.

L’intervento del Ministero si limita, certamente, alle misure attivate nella cornice della Garanzia Giovani. Tuttavia è auspicabile che, seppur nel quadro di un assetto normativo che affida alle amministrazioni regionali la competenza in materia di tirocini, si avvii, a livello nazionale, una più complessiva e ampia riflessione sull’utilizzo di questo, se ben utilizzato, prezioso strumento per l’inserimento e/o il reinserimento nel mercato del lavoro dei giovani ma non solo.

Molte volte, infatti, grazie al supporto delle risorse del Fondo sociale europeo, le Regioni hanno finanziato la possibilità, anche per le pubbliche amministrazioni, di attivare tirocini presso le proprie strutture. È da ritenersi, oggi, per di più alla luce dell’interpretazione ministeriale, che, questi percorsi, in ragione delle regole che disciplinano l’accesso al pubblico impiego nel nostro Paese, non abbiano più ragion d’essere visti gli obiettivi occupazionali che caratterizzano, complessivamente, i fondi europei. 

Nelle prossime settimane, quindi, è prevedibile che si avvii una riflessione in tal senso. Sarebbe auspicabile che, almeno questa volta, le amministrazioni pubbliche diano il buon esempio. Il ricorso ai tirocinanti, infatti, non può essere la soluzione tampone per dare quelle risposte che i cittadini si aspettano da una complessiva, ambiziosa e organica riforma del pubblico impiego non più procrastinabile.







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