EXPO 2015/ Orto globale? Ecco perché Milano non deve temere il dibattito

- Roberto Pesenti

I pro e i contro dell'orto globale: semplificazioni appartenenti al secolo scorso con cui rischiamo di affrontare i problemi italiani e non di Expo 2015. Il commento di ROBERTO PESENTI

MilanoNotteR400 Expo 2015, il dibattito continua (Imagoeconomica)

C’è una lezione comunicativa che è fornita da chi ha avuto a che fare, in Spagna, in Cina, con situazioni di difficoltà come quella che vive l’organizzazione di Expo 2015: l’acquisizione dei terreni, la ridefinizione del Masterplan in connessione all’aggiustamento del Tema e dei sotto temi, la definizione di cosa resterà alla Città quando la manifestazione chiuderà i cancelli.

La forza di un grande evento, dicono gli esperti, consiste, in particolare durante la fase di preparazione, nel modellare continuamente l’agenda comunicativa, in primo luogo il Tema allargando al massimo l’offerta di attrattività per i venti milioni di visitatori che, si spera, arriveranno a Rho- Pero. In questo senso è sbagliato alzare i toni pro o contro “l’Orto Globale” mentre è utile raccogliere le indicazioni che sono state avanzate in Italia e fuori per migliorare le proposte di Expo 2015 agli Stati, ai territori, alle aziende, ai visitatori.

Ecco perché è sbagliato scontrarsi sulle riflessioni che ha fatto Giuseppe Sala a Expo spa come è accaduto in questi giorni, mandando comunicazioni confuse alla grande platea internazionale che sta guardando attentamente a cosa succede intorno all’organizzazione dell’Expo 2015 di Milano.
Tutte le città del pianeta che hanno ideato, conquistato e realizzato grandi eventi sono state attraversate e lacerate da discussioni durante la fase preparatoria, proseguite anche dopo la fine delle manifestazioni.

Sul IlSussidiario.net abbiamo recentemente ricordato le dichiarazioni del Sindaco di Londra a proposito del percorso organizzativo ad ostacoli delle Olimpiadi del 2012.
Basta sfogliare le collezioni arretrate del quotidiano El Pais a proposito dell’Expo di Saragozza del 2008 per scoprire quanto si divise la città a proposito dei padiglioni costruiti sul fiume Ebro, il più largo di Spagna, con manifestazioni di massa che occuparono le sue rive in nome della “Acqua inquinata”, mettendo sotto accusa il principale filone tematico dell’Esposizione.

Anche il mastodontico Expo 2010 di Shangai provocò la discesa in strada di centinaia di cinesi per opporsi allo spostamento, semi-forzoso, di decine migliaia di abitanti dal luogo destinato all’Esposizione sotto lo slogan riportato in prima pagina dal quotidiano Shangai Daily : “Pessima città, pessima vita”, che parafrasava il Tema “Better city, Better Life”.

Ma in tutte queste città si è mantenuto il salvagente di sicurezza delle bipartisanship intorno alle società organizzatrici e alle azioni progettuali delle istituzioni su Expo, contenendo le previsioni catastrofiche e riportandole sulla strada dell’arricchimento delle proposte della manifestazione.
Nel momento in cui Milano affronta con Expo 2015 il confronto con la globalizzazione delle città, l’immagine cittadina non merita semplificazioni, “Orto sì/Orto no” che appartengono a culture, pensieri e ideologie del secolo scorso che ci avevano consegnato lenti deboli di osservazione e antiquati strumenti di azione.







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