OMAGGIO A ENZO JANNACCI/ “No tu no”, lo spettacolo. Intervista a Egidia Bruno

- int. Egidia Bruno

Per lei Enzo Jannacci fece la sua prima regia teatrale, per lui ha recitato in una sua commedia. EGIDIA BRUNO presenta adesso il suo nuovo spettaccolo dedicato al "Maestro"

Egidia_Bruno_R439 Egidia Bruno, foto Facebook

Appuntamento domani e dopodomani (17 e 18 febbraio) al Teatro Menotti di Milano. Sul palco, lo spettacolo scritto (insieme a Marie Belotti) e recitato da Egidia Bruno, “No tu no”, con l’accompagnamento musicale del maestro Alessandro Nidi, produzione Tieffe Teatro. Uno spettacolo che porta il sottotitolo impegnativo di “Omaggio a Enzo Jannacci”. Lei, Egidia Bruno, può permetterselo: è stata uno dei giovani che il Maestro, come lo chiamano loro, ha scelto personalmente per collaborare, anni fa. Jannacci infatti diresse – fu la sua prima regia – il monologo “La Mascula” tratto da un racconto della stessa Egidia. La quale partecipò in seguito anche alla messa in scena della sua commedia “La storia del Mago”. Abbiamo incontrato Egidia per farci raccontare che cosa è “No tu no”: nelle sue parole riecheggia forte e ancora intatta la commozione e la gratitudine per un incontro, quello con Jannacci, che tanto ha significato per la sua vita artistica e umana.

Come nasce l’idea di questo “omaggio” a Enzo Jannacci?

Due estati fa alla Milanesiana ho partecipato a una giornata dedicata alla Basilicata, la mia regione; per quell’occasione Elisabetta Sgarbi mi propose di scrivere qualcosa su Enzo. Così ho scritto una specie di dialogo tra me e lui, con Marie Belotti, la mia collaboratrice da sempre.

Come andò?

Quel pezzo andò bene, al punto che molti poi mi hanno chiesto di fare qualcosa di più approfondito. Fino a quel momento non avevo minimamente pensato di fare un omaggio a Jannacci, non perché non se lo meritasse o perché non avessi voglia, ma perché pensavo che l’averlo conosciuto e frequentato dovesse rimanere un patrimonio da custodire dentro di me e basta.

Come si è svolto il lavoro per arrivare a mettere in scena “No tu no”?

Prima di tutto abbiamo scelto le canzoni, ne abbiamo ascoltate centinaia, e ci sono voluti circa due mesi. Oltre alle canzoni più conosciute, come ad esempio “La fotografia” o “Parlare con i limoni”, volevamo far apprezzare al pubblico anche quelle meno note. E le abbiamo scelte in base alle tematiche che ci interessavano.

Quali tematiche?

Ci sono dei pezzi in cui si parla di ingiustizie sociali, di difficoltà personali, del quotidiano, insomma gli argomenti che erano cari a Enzo. Con lui si parlava di tutto e tutto veniva ricondotto ai massimi sistemi o ai principi in cui credeva. Principi che io e Marie condividiamo e per questo abbiamo scritto dei testi ispirati da alcuni suoi pezzi, oppure abbiamo abbinato un nostro testo a una determinata canzone. Lui era così avanti che ci sono cose che sembrano scritte adesso…

Puoi fare un esempio?

Ad esempio “Si vede” è una canzone che ti fa percepire tutto lo squallore di un ambiente urbano da speculazione edilizia. Infatti a quella canzone facciamo precedere un pezzo su questa mancanza di bellezza che ci condiziona e ci incattivisce. Un pezzo di denuncia sociale è poi, per esempio “La mia gente”. Canzoni più esistenziali sono “Pedro Pedreiro” o “Non finirà mai”.

Storie di persone come era solito raccontare lui…

E anche canzoni molto teatrali. Quando ascolti le canzoni di Enzo vedi delle immagini, spero di riuscire a trasmettere almeno un po’ dell’emozione che trasmetteva lui. Nello spettacolo ci sono momenti più introspettivi e momenti più surreali…

Altra parte importante della sua cifra…

C’è una frase di Enzo che riportiamo nello spettacolo che dice: “La vita è già tragica di per sé che raccontarla con lo stesso tono si diventa demagogici”, allora per parlare dell’esclusione abbiamo usato uno dei suoi pezzi surreali, “Il cane con i capelli”.

 

Qual è quindi il filo conduttore dello spettacolo?

E’ il titolo: “No tu no”, l’esclusione, quello che si sente dire chi viene emarginato da certi giri. “No tu no” è quello che mi dice lui all’inizio, anche se lui non c’è fisicamente, è una presenza che c’è. Lo tiro in ballo quando dice che non devo arrendermi perché se credi in qualche cosa devi andare avanti lo stesso.

 

Nella parte che avete scritto c’è qualcosa che vuoi sottolineare in modo particolare?

Abbiamo voluto raccontare quello che è il nostro momento sociale, il fatto che si fa così tanta fatica a convivere con tutte quelle che sono le difficoltà del momento, soprattutto se uno ha dei principi morali. E poi c’è una grande confusione. Parliamo anche di questo in un pezzo che concludiamo con la canzone di Enzo “Passaggio a livello”.

 

Un pezzo sulla difficoltà di comunicare…

Sì, in un mondo in cui c’è molta superficialità, in cui ci vengono continuamente vendute immagini, in cui bisogna combattere contro una grande frammentarietà e si fa fatica a ricondurre tutto a un qualcosa di più profondo e più introspettivo.

 

Il grande pubblico conosce e ricorda Enzo Jannacci soprattutto come cantante e autore di canzoni, uno spettacolo come questo forse può allargare la sua conoscenza come artista a tutto tondo.

Ci sono vari aspetti della personalità artistica di Jannacci che abbiamo cercato in qualche modo di portare in evidenza. Del resto l’ho frequentato prima di tutto come uomo di teatro, non come musicista, quando mi ha chiamata perché gli serviva un’attrice per una commedia scritta e diretta da lui (La storia del mago). Lui era comunque un grande attore. Infatti ha lavorato con registi come Ferreri e Monicelli

 

Che differenza c’era, se c’era, tra il regista, l’uomo di teatro, e il cantante, cosa ti ha colpito e cosa ti ha insegnato?

Mi ricordo che partecipai a una delle prime edizioni del Premio Gaber… Enzo non amava la parola “teatro canzone”. Diceva che è tutto teatro, quando canti se tu interpreti bene un pezzo è teatro anche quello. Ha intitolato uno dei suoi ultimi spettacoli “Teatro”. Per lui uno spettacolo era sempre fatto di tante cose.

 

Si è sempre caratterizzato per questo…

Enzo veniva dall’esperienza con maestri come Dario Fo: anche lui mette in scena spettacoli teatrali in cui, a un certo punto, inserisce una canzone. Uno spettacolo non è solo prosa o solo canzone. Mi ha incoraggiato molto in questo senso. Lui era questo, era la sintesi, uno spettacolo vivo e dal vivo. Pensa a una canzone come “El purtava i scarp del tenis”: contiene un monologo che non finisce più!

 

Il sottotitolo dello spettacolo recita “omaggio a Enzo Jannacci”, una parola, “omaggio” che forse può sembrare ingombrante, impegnativa.

Quello che noi riteniamo sia l’omaggio a Jannacci è raccontare il suo sguardo artistico, il suo modo di vedere il mondo, ciò che lo circondava, uno sguardo artistico che ho avuto la fortuna incrociasse con il mio; oltre che il suo sguardo umano perché prima dell’artista c’è l’uomo.

 

Molti ritengono che quando era in vita non è stato mai davvero capito e apprezzato. Pensi che sia ancora così?

No, non credo. Soprattutto da quando è mancato ci siamo resi conto che tanti artisti, anche giovani si rifanno a lui, si ispirano a lui. C’è un grande seguito, come un sottobosco, di base, ma davvero vasto. Ha dato tanto e crediamo che darà ancora tantissimo. Anche noi, nel preparare lo spettacolo, quanto più andavamo avanti ad ascoltare le sue canzoni, tanto più lo scoprivamo. E poi era così avanti che è ancora avanti…

 

In che senso?

Diceva delle cose che sono ancora “futuriste” adesso. Una canzone come “Il cane con i capelli”, ad esempio, rimarrà sempre un pezzo avanti. Lui diceva sempre di essere fortunato perché nato in un tempo in cui le cose erano più semplici e che se avesse proposto adesso le cose che scriveva e metteva in musica, non l’avrebbe mai preso in considerazione nessuno, perché troppo strane.

 

Come attrice, come interprete, fare questo spettacolo cosa ti ha dato di più rispetto a quello che già eri?

Io credo che abbiamo fatto un lavoro con onestà, con cuore e quindi spero che questo arrivi a chi verrà a vedere lo spettacolo. Mi piace molto il fatto che chiudiamo con l’immagine di un passaggio di testimone, dove lui dice: “io ho avuto successo e chi ha avuto successo deve aiutare chi si merita di averlo”. Lui era così, un generoso. E così la fatica di cui si parlava prima diventa un’altra cosa. Aver ricevuto aiuto, incoraggiamento, forza da una persona così credo possa consentire di vedere un domani in modo meno pessimistico, e di sentire le difficoltà meno oppressive.

(Paolo Vites) 








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