RENATO ZERO/ Compie 60 anni uno dei cantanti più amati d’Italia. L’intervista: “Sono profondamente religioso”

- La Redazione

Renato Zero compie 60 anni. Una lunga intervista su Corriere della Sera

Renato Zero compie 60 anni. Una lunga intervista su Corriere della Sera

Renato Zero compie 60 anni. L’artista, uno dei più amati d’Italia, con un popolo di fan denominatisi “sorcini” che lo segue da decenni con devozione, ha concesso al Corriere della Sera per l’occasione una lunga intervista in cui tocca anche l’annoso tema della sua presunta omosessualità.

Al proposito, Renato Zero assicura che presto pubblicherà una canzone che toccherà il tema dei suoi presunti amori maschili: “Presto uscirà una canzone in cui risponderò definitivamente a questa domanda, che mi ha stancato. Ognuno si curi il proprio orto, lasci aperta la porta, non si chiuda gli orizzonti, non si appiccichi da sé etichette che la vita potrebbe smentire. Non mettiamo limiti alla provvidenza. Conosco uomini con quattro figli che la sera si truccano pesante e vanno al Colle Oppio sui tacchi a spillo. L’importante è essere sempre aperti all’amore. Pensare solo al tuo benessere fa di te un miserabile, o un benestante: condizioni cui non aspiro minimamente”.

Renato Zero, nel corso della sua intervista, si dichiara anche profondamente religioso: “Credo profondamente in Dio. Papà ha studiato in seminario, io dalle suore. Sono al mondo grazie a un frate, che mi ha donato il sangue: sono nato con l’Rh negativo, come mia madre, e ho avuto subito bisogno di una trasfusione. Ho amato molto Wojtyla, un grande uomo. Ratzinger invece è un Papa. Ho cantato contro l’aborto: se lo vediamo come l’ultimo degli anticoncezionali, è un disastro. Vado a messa dai sacerdoti che stimo, come padre Augusto Matrullo, il rettore della basilica dei santi Giovanni e Paolo a Roma: è stato lui a benedire l’urna di Marcella, il portiere del Piper, che aveva scelto di diventare donna”.

Infine la politica: “Spesso non voto. Non ho stima di nessuno, sono fermo ad Antonio Gramsci e a Luigi Einaudi. Vengo da una famiglia di comunisti. Mario Tronti era mio zio: figlio di Nicola, il fratello di mia nonna Renata. I suoi genitori avevano il banco ai mercati generali, si alzavano alle 4 di mattina. Andavo a trovarlo nella sua casa sull’Ostiense. Ricordo una piccola stanza foderata di libri, questo ragazzo più vecchio dei suoi anni; ero così fiero di lui. Per me il partito comunista era questo: un padre che torna a casa stanco dal lavoro, mette in tavola un pane, un bicchiere di vino e un fiasco d’olio, e con quel che ha risparmiato compra un libro a suo figlio. Oggi questi c’hanno la barca e l’ossessione per la poltrona. Litigano, ma non per la politica; per il loro ego. E fanno i soldi”.







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