POSTA NOTTURNA/ “After the Gold Rush”: appunti sul tempo e la copertina di un disco rock

- Corrado Sala

La foto della copertina di un disco rock può rivelare, a distanza di anni, molte più cose di quello che poteva sembrare a prima vista, come questa di Neil Young. di CORRADO SALA

young_goldrush_R439 La copertina di After the Gold Rush

Questo è lo scatto originale di una delle copertine più belle e, per me, più inquietanti di tutti gli anni ’70: “After The Gold Rush”, di Neil Young. La foto è dell’allora giovanissimo Joel Bernstein (18 anni) ed è stata scattata all’angolo tra Sullivan Street e West 3rd Street al Greenwich Village, New York. Siamo nei primi giorni del 1970, Neil Young è ritratto mentre passeggia per strada. Affianco a lui c’è Graham Nash.

L’elemento inquietante della foto (solarizzata nella versione copertina e senza Nash), è per me la vecchia signora. Sembra spuntare dalla schiena di Nei Young. I due appaiono, come in certi fumetti paranormali (penso a Dylan Dog), uniti in un solo corpo e diretti in direzioni opposte. La foto è realmente uno scatto di strada, fuori da ogni posa, eppure è talmente suggestiva che per anni mi sono chiesto se fosse un fotomontaggio. Non lo è.

“Guarda Madre Natura in fuga negli anni Settanta”, dice un verso della meravigliosa canzone che dà il titolo all’album e oggi, a molto tempo da allora, capisco perché quella foto mi ha sempre impressionato. Neil Young, come Bernstein, era anche lui giovanissimo a quel tempo, 25 anni, mentre la vecchia signora che sembra uscire dalla sua schiena e già evidentemente molto avanti negli anni. Adesso che il tempo è diventato per me un elemento di riflessione costante, una materia da indagare, quell’inquietudine si spiega.

E’ una cosa che ho già scritto ma lo faccio nuovamente, perché mentre lo scrivo capisco anch’io dove sto andando e così circoscrivo l’area della mia ricerca: invecchiamo perché il tempo ci passa in mezzo e ci consuma. E’ per questo che diventiamo vecchi, perché quella entità inafferrabile che è il tempo ci passa dentro, come acqua o come ruggine, e ogni giorno porta via qualcosa.
La vita è questo: il passaggio inesorabile del tempo e a volte, vivere, non significa nient’altro che questo. Tempo che passa.

Allora la vecchia signora che attraversa Neil Young è stata per me forse questo: l’immagine del tempo che passa. L’immagine riflessa di un giovane cantautore canadese che, come Madre Natura, è in fuga negli anni ’70, mentre alle sue spalle, la previsione di un futuro ineluttabile lo sta già consumando.

Ho visto Neil Young due anni fa al Summer Festival di Lucca. Se chiudevo gli occhi e ascoltavo la musica, mi appariva all’angolo tra Sullivan Street e West 3rd Street, al Greenwich Village di New York, in un freddo mattino del 1970. Quando li riaprivo, non lo vedevo più. Al suo posto, con la tracolla nera stampata di colombe e simboli della pace, c’era la vecchia signora con i giornali in mano. Vedevo in quel momento la vita che, mentre la vita esisteva ancora, se n’era già andata. Vedevo molti anni prima, in quella copertina, la profezia di quello che solo molto tempo dopo avrei saputo.







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