PATRIZIA CIRULLI/ “Mille baci”: poesie da tutto il mondo e di ogni tempo, da Baudelaire a Alda Merini

- Alessandro Berni

Spesso si parla di canzoni come poesie, la cantautrice milanese Patrizia Cirulli ci ha provato davvero incidendo versi di poeti di ogni epoca. La recensione di ALESSANDRO BERNI

patrizia-ciurli_R439 Patrizia Ciurli

Con la seconda proposta estiva della canzone femminile nostrana (ri)facciamo conoscenza della cantautrice milanese Patrizia Cirulli.  Ha detto e dice di sé di sentirsi molto più nel suono che nella parola, ha al suo attivo un disco d’esordio che ricalca questo approccio con una vera e propria opera di lavorio e dissimulazione delle intenzioni originarie del Battisti di “E Già”.  Mancava all’appello il debutto con melodie di proprio pugno i cui presupposti risalgono, in verità, a un periodo di non poco anteriore al citato cover-album.

Una manciata di canzoni presentata spesso in concerto, una serie di demo e provini, un tentativo di armonizzare musiche con parole in grado di veicolare significati e suggestioni. Tutto questo a un certo punto ha registrato una svolta inaspettata quando la Cirulli ha accusato l’impatto sulla propria persona dei versi della poesia di Salvatore Quasimodo Forse il cuore.

Ne è nata una musica sostenuta dalla forza diretta e semplice delle parole, gran parte delle canzoni provate per anni sono state accantonate e altre canzoni sono venute fuori.  Sin da allora deve aver fatto breccia nell’anima dell’artista l’immagine cardine alla base di questo progetto, quella di associare la bellezza di grandi versi poetici all’ineguagliabile trasporto affettivo dei baci.  Da qui il titolo del progetto che è diventato il disco “Mille Baci”, sfilata di famosi versi di celebri o più misconosciute poesie da tutto il mondo e di ogni tempo.

Forse è anche per questo che le liriche selezionate e le musiche create per destinazione si lanciano nella celebrazione dell’amore, ma ancor più del suo esilio o nel puro e semplice struggimento del cuore.  Da Catullo e Wilde, da Quasimodo a D’Annunzio, da Baudelaire a Merini e De Filippo persino osando una scelta felicemente anomala come la Frida Kahlo musicata in Poema para Diego Rivera, suoni e parole si marcano stretti liberandosi in un assemblaggio che mescola buon gusto e sano artigianato.

Sotto il profilo musicale l’accorta direzione del poliedrico Lele Battista fa vivere il disco di scarti soffici e lineari.  Da una sezione che con Ay! Had We Never Loved at All, Deseo, Mille baci e Sono solo una fanciulla – tra le altre – snocciola pop rifinito e moderno senza cedimenti ai diktat del mainstream, a una più rifinita che contempera malinconia e leggerezza passando dalla scura mutevolezza di Forse il cuore al pathos estatico della dannunzianaAprile, mettendo in fila momenti di livello tra reminiscenza folk e melodia come Quanno parlo cu te, E’ più facile ancora fino alla rilettura sonora del Saba di La capra e del Trilussa di Primavera.

A far ora da contorno ora da gustoso ornamento il ragguardevole contributo di amici e collaboratori di ieri e di oggi, dai chitarristi Massimo Germini, Luigi Schiavone, Giorgio Mastrocola, Tony Canto, a un Fausto Mesolella qui in veste canora, al canto di Sergio Muniz e al recitativo di Giancarlo Cattaneo.  L’effetto che ne viene restituito è quello generoso e coinvolgente di una vita che, colpita al cuore, vuole condividere questo segno indelebile





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