IL CASO/ Bertrand Cantat (Noir Désir): il diritto al reinserimento sociale può fare a meno del perdono?

- Paolo Vites

E' tornato con un disco nuovo Bertrand Cantat, ex cantante dei Noir Désir, dopo aver scontato una pena ridotta per aver ucciso la compagna. PAOLO VITES

Bertrand-Cantat Bertrand Cantat

Condanna, carcere, reinserimento. Il sistema penale italiano dice chiaramente che la pena che una persona deve scontare sia esplicitamente indirizzata, una volta scontata la condanna, al suo reinserimento nella vita sociale. Cioè favorire, come succede in molte carceri italiane attraverso iniziative varie quella che, con una brutta parola, sarebbe una “rieducazione” in modo tale che una volta uscito non ripeta più i crimini commessi. Per favorire ciò, è basilare che l’ex condannato abbia un lavoro, sia per sostenersi, ma anche perché il modo più diretto per non ricadere nel crimine. Dunque un muratore che ha scontato la sua pena è normale che torni a fare il muratore. Ma quando la persona che ha scontato la pena è un artista, nel nostro caso un musicista rock, con tutto quello che comporta dal punto di vista della presenza pubblica?

In Francia è scoppiato il caso di Bertrand Cantat, ex leader del gruppo, ai suoi tempi assai popolare anche in Italia, dei Noir Désir. Il 26 luglio 2003 la compagna di Cantat, Marie Trintignant, attrice e figlia del noto attore Jean-Luis Trintignant, venne massacrata, sembra con una scarica di venti pugni, dal cantante. Morì qualche giorno dopo. Cantat venne condannato a solo otto anni di carcere, pare anche grazie alla testimonianza dell’ex moglie Krisztina Ràdy che lo difese. La ex coppia aveva avuto due figli insieme. Dopo solo 4 anni di carcere gli fu concessa la libertà condizionata “per gli sforzi di reinserimento sociale fatti dal condannato e anche per le sue prospettive di reinserimento professionale”. Cantat e la ex moglie si rimisero insieme, ma il 10 gennaio 2010 la donna fu trovata impiccata: si era ucciso, pare a causa delle violenze fisiche e morali da parte del musicista. Incredibilmente, sebbene al corrente dei fatti (la figlia lasciò un messaggio sulla loro segreteria telefonica: “Purtroppo non posso raccontarvi niente di buono, Bertrand lo ha impedito e lo ha trasformato in un vero incubo che chiama amore. E sono al punto che ieri ho rischiato di lasciarci un dente. Mi ha lanciato qualcosa, il mio gomito è completamente tumefatto e purtroppo una cartilagine si è rotta, ma non è importante finché posso ancora parlarne“) i genitori non denunciarono Cantat, sembra perché temevano che avrebbe negato loro la possibilità di vedere i nipoti.

Lo scorso ottobre è uscito il suo primo disco solista, “Amor Fati” e adesso una serie di concerti che doveva tenere in Francia è stata cancellata dopo che una petizione online aveva raccolto 75mila firme contro tale iniziativa. Molti cittadini sono scesi per le strade per protestare contro questi concerti. La motivazione: “Invitare Cantat a esibirsi, si legittima la violenza domestica e la violenza contro le donne”. Slogan un po’ populisti, in linea contro certe campagne aperte dopo lo scandalo Weinstein. Ma la domanda è: bisogna impedire a un artista colpevole di brutale violenza fino all’omicidio di tornare a fare l’artista? Cantat ha deciso di annullare i concerti, non prima di essersi esibito qualche sera fa a Montpellier e aver postato su Facebook: “Grazie al pubblico di Montpellier che alcuni perturbatori hanno tentato di colpevolizzare senza successo”. A cui, dopo aver annunciato di cancellare i concerti, ha aggiunto un documento che suona come un atto di accusa: “Esistono dei buchi neri nel tessuto della vita, che non si riempiono. Tuttavia non ho mai cercato di sottrarmi alle conseguenze e quindi alla giustizia. Ho pagato il debito al quale la giustizia mi ha condannato, ho scontato la mia pena. Non ho beneficiato di privilegi(…). Desidero oggi, come qualsiasi altro cittadino, fare valere il mio diritto al reinserimento sociale. Il diritto di fare il mio lavoro, il diritto per i miei cari di vivere in Francia senza subire pressioni o calunnie. Il diritto per il pubblico di andare ai miei concerti e di ascoltare la mia musica”. 

Cosa si può dire di un caso come questo? Cantat sembra accusare i media di cavalcare l’onda della protesta contro di lui, forti di dichiarazioni come quella della madre di Marie Trignant: “Non ha pagato niente. Avrebbe dovuto stare in prigione per 20 anni (…), tutti sembrano aver dimenticato il numero di colpi ricevuti da Marie e adesso gli organizzatori dei concerti vogliono lucrare su di lui”. E’ innegabile che molti sono disposti ad andare a vedere “il mostro” che ha ucciso una donna e ha portato al suicidio una seconda. Dal punto di vista legale, avendo scontato la sua pena, ha tutto il diritto di farlo. Nelle sue canzoni l’artista francese come già faceva prima parla di amori morbosi e tragici: c’è il rischio che fare di lui nuovamente una star sia lo sdoganamento del male, che qualcuno possa essere influenzato dal suo personaggio e ripeterne le gesta? Nessuno avrebbe voluto che Charles Manson, se mai fosse stato scarcerato, avesse potuto fare dischi e concerti.

E’ davvero difficile rispondere. C’è una parola però che sembra non essere mai stata pronunciata da Cantat, ed è “perdono”. A proposito dell’omicidio di Marie, ha addirittura detto di non ricordare nulla tanto era ubriaco. Nelle interviste rilasciate dopo la pubblicazione del disco, non ha fatto cenno alle donne morte per causa sua. Ma questo non è chiedere perdono ai familiari della vittima, questo si chiama rimozione. Vale anche per l’operaio, anche se nessuno a parte i colleghi avrà a che fare con lui.  Forse Cantat si è pentito di quello che ha fatto, nessuno può sapere cosa c’è nel cuore di un altro. Ma a noi piacerebbe sì che si inserisse nuovamente nella vita sociale, ma non in veste di artista maledetto. Di occasioni ne potrebbe trovare tante, e forse scomparire nell’anonimato sarebbe un gesto di autentico pentimento per quello che ha fatto. E anche di rispetto per le vittime e i familiari.





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