I NUMERI/ Quanto conta la laurea per un lavoro e lo stipendio?

- Andrea Cammelli

ANDREA CAMMELLI ci mostra qual è la situazione occupazionale dei giovani italiani dopo il conseguimento della laurea: contratti, stipendi e stabilità occupazionale

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Il nuovo Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, che ha coinvolto circa 400mila laureati a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo (l’analisi e la documentazione completa è disponibile su www.almalaurea.it), conferma un quadro occupazionale complessivamente in difficoltà.

Aumenta la disoccupazione fra i laureati triennali: dal 16% al 19% (l’anno precedente l’incremento aveva superato di poco il punto percentuale). La disoccupazione lievita anche, e risulta perfino più consistente, fra i laureati specialistici biennali, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 18% al 20% (la precedente rilevazione aveva evidenziato una crescita inferiore ai 2 punti percentuali). Il tasso di occupazione dei laureati triennali, calcolato sulla sola popolazione che non risulta iscritta a un altro corso di laurea, a un anno è pari al 69%; è il 57% tra gli specialistici biennali e il 37% tra i laureati a ciclo unico. Facendo, più opportunamente, riferimento al tasso di occupazione adottato dall’Istat nell’Indagine sulle forze di lavoro, che considera occupati anche quanti sono impegnati in attività formative retribuite, l’esito occupazionale dei collettivi in esame migliora considerevolmente. Più nel dettaglio, il tasso di occupazione lievita fino al 73% tra i laureati triennali, al 72% tra gli specialistici biennali, al 62% tra i laureati a ciclo unico.

Con la sola eccezione dei laureati specialistici a ciclo unico, a un anno dall’acquisizione del titolo diminuisce il lavoro stabile. La stabilità riguarda così il 42,5% dei laureati occupati di primo livello e il 34% dei laureati specialistici (rispettivamente -4% e -1% rispetto all’indagine 2010). Contemporaneamente si dilata la consistenza delle forme contrattuali a tempo determinato e interinale (definite lavoro non standard), del lavoro parasubordinato e del lavoro nero (laureati senza contratto). Quest’ultimo, a un anno, riguarda il 6% dei laureati di primo livello, il 7% degli specialistici, l’11% di quelli a ciclo unico. Le retribuzioni a un anno dalla laurea (pari a 1.105 euro mensili netti per i laureati di primo livello, 1.050 per gli specialistici a ciclo unico, 1.080 per gli specialistici), già non elevate, perdono ulteriormente potere d’acquisto rispetto alle indagini precedenti (la contrazione risulta compresa fra il 2% e il 6% solo nell’ultimo anno).

Le crescenti difficoltà occupazionali incontrate dai giovani, neo-laureati compresi, negli ultimi anni si sono inevitabilmente riversate anche sui laureati di più lunga data, anche se occorre sottolineare che, col trascorrere del tempo dal conseguimento del titolo, le performance occupazionali migliorano considerevolmente. A tre anni dal titolo il 74% degli specialistici si dichiara occupato, la quota di chi ha un lavoro stabile sale di 19 punti (57%), le retribuzioni nominalisuperano 1.250 euro. Tra i laureati 2006, a cinque anni, il tasso di occupazione è del 78%, la stabilità si estende fino a coinvolgere il 70% degli occupati pre-riforma. Nota dolente è rappresentata dalle retribuzioni che hanno visto il loro valore reale ridursi, negli ultimi sei anni, del 17% circa (dell’8% solo nell’ultimo anno).

Ma vale ancora la pena laurearsi? Le evidenze empiriche portano a dare una risposta affermativa. Nell’intero arco della vita lavorativa (fonti Istat e Ocse) la condizione occupazionale e retributiva dei laureati resta migliore di quella dei diplomati di scuola secondaria superiore. In un contesto in cui sono ancora pochi i laureati in Italia: si registra un forte ritardo sul terreno della scolarizzazione superiore nella popolazione adulta (ancora oggi il 75% dei laureati di primo livello porta a casa un titolo di studio mancante in famiglia) e si fatica a comprendere il ruolo strategico degli investimenti in istruzione superiore e in ricerca.

Inoltre, in Italia è penalizzata soprattutto l’occupazione più qualificata. Tra il 2004 e il 2008, tranne che in una breve fase di crescita moderata, l’Italia ha fatto segnare una riduzione della quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell’Unione europea. Un’asimmetria di comportamento che si è accentuata nel corso della crisi: mentre al contrarsi dell’occupazione, negli altri paesi è cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro Paese è avvenuto il contrario. Probabilmente almeno una parte dei laureati che in questi anni sono emigrati dall’Italia fanno parte del contingente di capitale umano che è andato a rinforzare l’ossatura dei sistemi produttivi dei nostri concorrenti!.

 

Incidenza degli occupati nelle professioni più qualificate (valori percentuali)

 

 

Fonte: elaborazioni AlmaLaurea su documentazione Eurostat.

Lo scenario economico nazionale e internazionale, dunque, non offre motivi di ottimismo. Occorre però evitare un atteggiamento attendista che non può che prolungare la crisi: il nostro futuro dipende da ciò che seminiamo oggi. E i segnali recenti sulla necessità di “riportare al centro del dibattito pubblico il valore della cultura, della ricerca scientifica, dell’innovazione e dell’educazione a vantaggio del progresso nel nostro Paese”, come ricordato recentemente da esponenti del Governo, legittimano quella che appare una inversione di tendenza in grado di alimentare forti speranze. Ma occorre fare presto. I giovani non possono più attendere: occorre investire in istruzione, ricerca, innovazione e cultura.





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