PENSIONI E INPS / Quei numeri che smontano la “leggenda” dello Stato evasore

- Giuliano Cazzola

Sbucata chissà dove è cominciata a circolare la notizia che lo Stato non paga i contributi pensionistici ai suoi dipendenti: è, quindi, un evasore. Il commento di GIULIANO CAZZOLA

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Più volte, anche su queste pagine, abbiamo avuto occasione di occuparci di una delle tante “leggende metropolitane” che come la “calunnia” (ricordate la nota “aria” del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini?) nascono da un “venticello”, poi si trasformano in una tempesta, quando della notizia si impadroniscono quelle associazioni a delinquere annidate nelle redazioni dei talk show. Sbucata chissà dove da un’intervista di chissà chi è cominciata a circolare, incontrastata, la notizia che “lo Stato non paga i contributi pensionistici ai suoi dipendenti”: è, quindi, un evasore.

Poiché la cosa è estremamente disdicevole, piove come cacio sui maccheroni di un certo modo di fare giornalismo e comunicazione. Nessuno si è dato cura, allora, di approfondire l’argomento, salvo ripeterlo all’unisono con il medesimo tam tam del “buon selvaggio”. Proprio su queste pagine ci siamo sforzati di spiegare da dove poteva nascere l’equivoco. In sostanza, lo ripetiamo, fino al 1996, quando divenne operativa la Cassa dei trattamenti pensionistici degli statali, istituita l’anno precedente dalla legge Dini-Treu, le amministrazioni dello Stato non versavano la quota di contribuzione loro spettante in quanto datori (mentre si limitavano a effettuare e a incassare la ritenuta a carico del dipendente) per il semplice fatto che, al momento della cassazione dal servizio, provvedevano a calcolare e a corrispondere la pensione, come avevano sempre fatto con lo stipendio. Dopo la costituzione della gestione previdenziale presso l’Inpdap, tra le amministrazioni statali, i propri dipendenti e la Cassa stessa si è aperto un normale rapporto contributivo, necessariamente rivolto al futuro, mentre per il pagamento delle pensione in essere lo Stato doveva garantire 14mila miliardi di lire di trasferimenti all’anno.

Tali risorse, poi convertite nella legge finanziaria 2007 in anticipazioni, hanno creato non pochi problemi al bilancio dell’Inpdap, prima, dell’Inps, poi al momento dell’incorporazione del primo ente nel secondo. Ma del problema abbiamo già scritto. In questi ultimi giorni, sia pure indirettamente, alcuni ex dirigenti dell’ex Inpdap hanno rotto il silenzio e hanno messo in circolazione qualche dato a conferma di quanto il sottoscritto ha sempre sostenuto.

Chiariti, allora, i motivi per cui, fino al 1996, lo Stato non era tenuto a versare i contributi previdenziali, va precisato che adesso, considerati il numero complessivo dei dipendenti statali, la retribuzione media e l’aliquota contributiva (da applicare alla retribuzione media incrementata del 18% sulle voci fisse e continuative, in applicazione delle norme contributive vigenti) si evince chiaramente che non esiste evasione e che le entrate contributive teoriche dovute(per 1,8 milioni di assicurati)sono in linea con quelle effettivamente incassate

Si vedano per tutti i conti dell’anno 2010 (entrate dovute pari a 22,8 miliardi, entrate incassate pari a 22,3 miliardi); ma identico discorso vale per gli altri esercizi (la percentuale d’incasso del successivo 2011 fu del 99,5%). Interessante, poi, è notare se corrisponde a verità la circostanza – un’altra leggenda metropolitana – secondo la quale l’incorporazione dell’Inpdap avrebbe inquinato le “chiare, fresche e dolci acque” dove le “belle membra pose”, incontaminato, il bilancio dell’Inps. Non ritorniamo sugli effetti prodotti dalla trasformazione in anticipazioni dei trasferimenti previsti dalla legge Dini a favore della Cassa degli statali. Basti sottolineare che, se fosse stata compiuta la medesima operazione (parzialmente aggiustata con la Legge di stabilità del 2015) sull’intero bilancio dell’Inps, esso risulterebbe un colabrodo. Esistono diverse altre gestioni Inps in deficit strutturale. Tuttavia, gli apporti a ripiano da parte dello Stato – tratti dalla fiscalità generale e non dai contributi – vengono qualificati come “trasferimenti definitivi” e il gioco è fatto: uno stesso marchingegno contabile viene “chiamato” in maniera diversa e non si genera un deficit.

Ricordate che cosa era solito dire Abraham Lincoln? “A voi sarà possibile di imbrogliare tutti per una volta e uno per sempre. Ma non riuscirete mai a ingannare tutti per sempre”.





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