GIUSTIZIA/ Veltroni: caro Berlusconi, una riforma garantista rispetta l’autonomia della magistratura

- int. Walter Veltroni

Il segretario del Pd Walter Veltroni spiega a ilsussidiario.net i punti principali della proposta dei democratici sul tema giustizia: riforma del codice di procedura penale, valutazione dei magistrati, garanzie per i diritti dei cittadini. No a modifiche costituzionali che indeboliscano l’autonomia della magistratura. E la condizione per riforme condivise è abbassare le armi della reciproca conflittualità tra politica e magistratura

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«Credo che il vero centro della riforma debba essere quello di far funzionare un servizio ai cittadini oggi troppo deficitario, lungo, incerto. Su questo il Pd ha avanzato un pacchetto di proposte già a metà novembre, durante gli stati generali della giustizia, e non si tira indietro dal valutare altri provvedimenti che si rendessero necessari». Il segretario del Pd Walter Veltroni spiega a ilsussidiario.net i punti principali della proposta dei democratici sul tema giustizia: riforma del codice di procedura penale, valutazione dei magistrati, garanzie per i diritti dei cittadini. Ma precisa: «ogni modifica costituzionale che facesse diminuire l’autonomia della magistratura non sarebbe in realtà una riforma in senso garantista per i cittadini, aprirebbe al contrario un colpo nell’equilibrio istituzionale e politicizzerebbe ancora di più l’accusa mettendola sotto il controllo del governo. Di qualunque governo».

Walter Veltroni, il problema giustizia è tra i più caldi dell’attuale dibattito politico: prima il lodo Alfano, poi la guerra tra procure, e infine, in ordine di tempo, una nuova “questione morale”. Come risolvere il problema del rapporto tra politica e magistratura?

Che esista un problema di funzionamento della giustizia è certamente vero; quello che invece giudico sbagliato è un atteggiamento di contrapposizione se non di conflitto tra politica e giustizia, quasi fossero due poteri l’un contro l’altro armati. Bisogna perciò dare risposte concrete ai problemi concreti: ecco, il lodo Alfano non è  una risposta ai problemi dei cittadini, ma ai problemi di un cittadino e per questo l’abbiamo giudicato molto negativamente. La guerra tra le procure è invece un segnale grave di malessere che il Csm, anche con l’impulso del Presidente Napolitano, ha iniziato ad affrontare.

 

Da dove cominciare per riformare la giustizia?

Credo che il vero centro della riforma debba essere quello di far funzionare un servizio ai cittadini (perché questo è, innanzitutto, la macchina giudiziaria) oggi troppo deficitario, lungo, incerto. Su questo il Pd ha avanzato un pacchetto di proposte già a metà novembre, durante gli stati generali della giustizia, e non si tira indietro dal valutare altri provvedimenti che si rendessero necessari. Abbiamo parlato di un manager per l’organizzazione del lavoro delle procure, di una indicazione di priorità per i reati da perseguire indicata dal capo della Procura insieme alle altre autorità dello Stato che operano sul territorio, di accorpamento di uffici giudiziari, di riforma del codice di procedura penale per favorire maggior equilibrio tra accusa e difesa. Vogliamo parlare anche della valutazione del lavoro dei magistrati e anche del rafforzamento della garanzie, perché quando si toccano le libertà personali bisogna farlo con tutte le cautele del caso. Ecco, questa è l’altra stella polare delle nostre valutazioni: la tutela della libertà, della privacy, della certezza dei diritti dei cittadini. Quando in ballo c’è una persona a cui viene sottratta la libertà non ci può essere alcuna decisione a cuor leggero: il ministro della Giustizia del governo ombra del Pd, Lanfranco Tenaglia, ha indicato l’idea di un collegio di tre magistrati per ogni decisione che riguardi la limitazione delle libertà personali e altre cose si possono fare sempre in questa direzione.

 

Il centrodestra, tra le altre cose, insiste molto su due temi: le intercettazioni e la separazione delle carriere. Qual è la sua opinione in proposito?

Sulle intercettazioni la nostra proposta è quella di non limitare l’uso di questo strumento di indagine, ma invece di proteggere la privacy: l’uso delle intercettazioni deve essere limitato ai processi. Bisogna porre fine a questo spettacolo delle intercettazioni finite sui giornali, anche con dettagli che nulla hanno a che vedere con fatti penalmente rilevanti o che riguardano persone estranee. Di altro segno sono invece i discorsi di chi punta tutto sulla separazione delle carriere, anzi meglio degli ordini, come ha ripetuto ancora recentemente il presidente del Consiglio, o dalla scomposizione del Csm. Credo che sul tema della distinzione delle funzioni si sia intervenuti già positivamente ed efficacemente nella precedente legislatura. Mentre ogni modifica costituzionale che facesse diminuire l’autonomia della magistratura non sarebbe in realtà una riforma in senso garantista per i cittadini, aprirebbe al contrario un colpo nell’equilibrio istituzionale e politicizzerebbe ancora di più l’accusa mettendola sotto il controllo del governo. Di qualunque governo.

 

In vista di una ripresa di iniziativa del governo, in gennaio, con la “bozza” Alfano, il capo dello Stato ha invocato una riforma condivisa tra maggioranza e opposizione. Quali sono invece i punti qualificanti della proposta del Pd?

Se devo riassumere i punti qualificanti e l’ispirazione delle nostre proposte li individuo in innovazioni che puntano, insieme, a rinsaldare le garanzie e a far funzionare la macchia giudiziaria sia per quanto riguarda la giustizia penale che per la giustizia civile, che è la più lenta di tutte e che è ormai diventata una palla al piede dello sviluppo economico del nostro paese. Ma siamo pronti anche a valutare delle proposte di innovazioni serie, purché si muovano lungo queste due linee.

 

Cosa risponde a chi fa notare che il Pd non ha raccolto le aperture di Violante, quando ha posto il problema di un potere eccessivo dei magistrati e della necessità di limitarlo?

Io credo che le vicende di cronaca anche di questi ultimi giorni abbiamo mostrato i rischi di errori, anche gravi, da parte di singoli magistrati. Sono cose che sostengo non da oggi e non perché alcune indagini siano rivolte verso il centrosinistra: queste cose le dico dai tempi di Tangentopoli, sono le stesse che scrivevo sull’Unità di cui ero allora direttore. Sul mio attaccamento alle garanzie non possono dunque esserci dubbi. Per tornare all’oggi, mi ha profondamente colpito il caso di Margiotta per il quale la richiesta di arresto è stata bocciata anche dal tribunale del riesame oltre che dalla Camera, o quella del sindaco di Pescara D’Alfonso. Ho parlato di situazione grave perché colpisce la libertà delle persona e anche la solidità delle istituzioni. Ma ripeto, non ho mai pensato a complotti e neppure ad un vero e proprio conflitto di poteri. E poi, insisto, credo che la questione del funzionamento della giustizia, di decisioni non ponderate e sbagliate sia una questione che riguarda tutti i cittadini, cominciando da quelli più deboli e finendo con i politici. Non il contrario.

 

Su questo giornale Violante ha affermato che «il centrodestra pensa prevalentemente alla magistratura come potere; il centro sinistra vi pensa prevalentemente come servizio. I primi pensano di conseguenza ad una riconduzione entro dimensioni a loro avviso fisiologiche del potere dei magistrati, gli altri pensano all’efficienza dei processi». Che Tangentopoli abbia fortemente condizionato la nostra storia recente è un dato di fatto. A suo avviso sta ancora condizionando la politica italiana? Come?

Non è questa la sede per una riflessione storico politica, ma che le vicende di Tangentopoli abbiano influenzato la vita politica italiana è certamente vero. Per rendersene conto basta guardare all’atteggiamento del presidente del Consiglio che ormai da anni ha fatto del conflitto con la magistratura uno dei suoi chiodi fissi. Credo che la riforma da fare passi anche dalla fine di questo tipo di atteggiamenti: non si fanno riforme serie senza o contro i magistrati o gli avvocati, ovvero quanti operano nel mondo della giustizia. Abbassare le armi della reciproca conflittualità tra politica e magistratura è una condizione per arrivare a riforme condivise.

 

In questi giorni il vicepresidente del Csm Mancino ha lanciato la proposta di una riforma del Consiglio superiore che sta facendo molto discutere. Cosa ne pensa?

È un tema di estrema importanza e delicatezza. Quello del vicepresidente Nicola Mancino è un contributo autorevole alla riflessione e al dibattito. Che nel Csm, anche per effetto di alcune modifiche introdotte tra il 2001 e il 2006 dal governo di centrodestra, possa prodursi uno squilibrio nel rapporto fra la componente laica e quella togata è un rischio reale. Proprio per questo in occasione della conferenza nazionale sulla giustizia del novembre scorso avevamo proposto come Pd di modificare, con legge ordinaria, la legge elettorale, il numero dei componenti (30 anziché 24) del Csm e la creazione di una Sezione disciplinare autonoma per i pubblici ministeri. Vedo che importanti giuristi come Vittorio Grevi sostengono proposte che hanno sostanzialmente questo stesso carattere. Queste proposte il ministro della Giustizia del governo ombra del Pd, Lanfranco Tenaglia, le ha illustrate ad Alfano in un recente incontro. Anche il contributo di Mancino è certamente importante e sarà oggetto del confronto che auspichiamo tra maggioranza e opposizione in Parlamento, coinvolgendo però anche le associazioni di magistrati e avvocati.

 

Lei ha rilanciato un’ampia operazione di rinnovamento politico, tanto che si è parlato a questo proposito di Lingotto Due per il Pd. L’azione della magistratura può essere “adoperata” a fini politici, fossero anche quelli del rinnovamento interno di un partito? Una “questione morale” riproposta in questi termini, non rischia di subordinare definitivamente la politica alla magistratura?

No. Io ho parlato di un rilancio dei temi riformisti di una innovazione nei contenuti programmatici e anche nei gruppi dirigenti perché ci credo, perché si muovono nello stesso senso che ho indicato al Lingotto un anno e mezzo fa. Non sto strumentalizzando i giudici né mi sento da loro forzato. Ho detto e lo ripeto che una questione morale – o meglio una questione politica – esiste ed è rappresentata da alcune zone di opacità nel rapporto tra politica e economia, tra amministrazione ed affari. Questa opacità va rimossa nell’interesse dei cittadini ma anche nell’interesse della politica che non deve puntare alla conservazione delle proprie classi dirigenti ma a rispondere ai problemi reali, alla necessaria modernizzazione del nostro paese. Vede, il Pd è la forza che amministra migliaia di comuni, decine di Province, la maggioranza delle Regioni italiane: di questo siamo orgogliosi perché crediamo di amministrarli bene. I sindaci, gli assessori, i presidenti che esprimiamo sono una grande risorsa per il paese.







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