EUROPEE/ 1. Mauro: senza radici culturali avremo solo un mostro giuridico

- Mario Mauro

Senza aver chiara la sua identità, l’Ue non potrà fare alcun passo in avanti rispetto alle sfide che si trova ad affrontare. L’Europa può ripartire dai valori su cui è stata creata, dai buoni risultati finora raggiunti e da una buona dose di realismo

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Il 2009 è stato un anno di sfide senza precedenti per l’Europa. Siamo alla vigilia delle elezioni europee del 6 e 7 giugno che rappresentano una tappa fondamentale per il nostro futuro. Tante le sfide che le istituzioni europee saranno chiamate ad affrontare durante la prossima legislatura e altrettanti i nodi ancora irrisolti che chi prenderà in mano le sorti del nostro continente è chiamato a cercare di sciogliere. L’integrazione europea, ad esempio, oggi rappresenta una delle maggiori incognite della nostra società.

Nonostante le battute d’arresto, porzioni non indifferenti di discrezionalità decisionale sono in mano all’Ue, con conseguenti ricadute in molteplici ambiti di rilievo, se non addirittura strategici: etica, economia, mercato, diplomazia, politica monetaria e così via. La crisi del progetto europeo è frutto di un approccio errato al processo di integrazione, di una posizione politica che non vuole partire dalla realtà, dalla domanda «cos’è l’Europa?», emblematica interrogazione sui fondamenti stessi dell’integrazione europea. Benedetto XVI ricorda come i grandi pericoli contemporanei per la convivenza fra gli uomini giungano dal fondamentalismo – la pretesa di prendere Dio come pretesto per un progetto di potere – e dal relativismo, ossia il ritenere che tutte le opinioni siano vere allo stesso modo.

L’involuzione del progetto politico che chiamiamo Unione europea è riconducibile proprio a questi fattori. Il problema dell’Europa nasce dal fatto che il rapporto tra ragione e politica si è sostanzialmente sviato da ciò che è la nozione stessa di verità. Il compromesso, giustamente presentato come senso della stessa vita politica, è oggi concepito fine a sé stesso. È per questo che si è scelto di mettere a fuoco le principali politiche dell’Unione europea utilizzando come filo conduttore le intuizioni dei padri fondatori e la promozione della dignità umana insita nell’esperienza cristiana.

La situazione di empasse in cui l’Europa si muove deve condurre a una profonda riflessione. Al di là della capacità di giungere a un buon accordo sul bilancio, il vecchio continente sta perdendo il proprio orizzonte e la propria dimensione. Dopo l’«era Kohl» l’Europa è stata dominata da politici senza il coraggio necessario per generare il «domani» e senza la forza per mantener fede alla costruzione creata poco più di cinquant’anni prima dai padri fondatori. È comparsa sulla scena una generazione di politici giunta a un’idea di Europa – bocciata poi dai referendum francese e olandese – per cui l’integrazione sempre più stretta è diventata un valore in quanto tale.

Ma, qual è la politica dell’Europa? Qual è il peso reale dell’Europa nel mondo globalizzato? Il problema dell’Europa, oltre che istituzionale, è un problema di definizione delle politiche comunitarie. Sulla base della mia esperienza, ritengo che i cinque nodi su cui si gioca il futuro dell’Europa siano rappresentati dalla crisi demografica, dall’immigrazione, dall’allargamento, dalla strategia di Lisbona e dalla politica estera, che sono poi strettamente collegati da un comune denominatore: l’identità dell’Europa.

Senza aver chiara la sua identità, l’Europa non potrà infatti fare alcun passo in avanti rispetto a queste cinque sfide. Corriamo il rischio che la risposta alla crisi demografica sia puramente ideologica e che privilegi opere di ingegneria sociale. L’Ue non può ignorare il fattore culturale nell’incidenza sui tassi di fertilità, ovvero le convinzioni personali che sostengono l’apertura alla vita. Come potremo gestire e integrare i flussi migratori senza saper proporre un nostro modello culturale di civiltà? Come decidere i criteri per i prossimi allargamenti dell’Ue senza sapere se l’Europa è definita da criteri geografici o culturali? Come pretendere di parlare con una sola voce nel mondo se il pensiero comune pensa che l’Ue sia soltanto la somma di interessi puramente economici? Come implementare le riforme necessarie per lo sviluppo economico se i popoli non ritrovano la fiducia in sé stessi? Occorre una disposizione alla generosità che permetta di superare l’egoismo e generare nuovi figli. Occorre evitare il solito conformismo del «politicamente corretto», per cui basta garantire l’informazione per far fare le scelte giuste.

In realtà, il criterio di scelta si basa sulla concezione della vita: qui entra in gioco la secolarizzazione dell’Europa. Infatti, anche la crisi politica è strettamente connessa con la perdita delle radici cristiane del nostro continente. Robert Schuman era solito dire «l’Europa non potrà farsi una sola volta», l’Ue, infatti, non è un blocco monolitico, ma il risultato delle azioni di uomini e, in quanto tale, per vivere è chiamata a rinnovarsi nel tempo. L’Europa può ripartire dai valori su cui è stata creata, dai buoni risultati finora raggiunti e da una buona dose di realismo.







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