ELEZIONI/ La Corte d’Appello “rasserena” gli animi: Nessun rischio per la democrazia…

- La Redazione

La Corte d’appello di Milano, come è noto si è espressa. Negando la possibilità alla lista del candidato alla presidenza della regione Lombardia Roberto Formigoni (Per la Lombardia) di correre per le elezioni del 28 e del 29 marzo

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Né può dirsi che le conclusioni raggiunte importino, al di là delle difficoltà materiali e sostanziali, un pregiudizio giuridicamente rilevante all’interesse pubblico “ricollegato alla tutela della volontà manifestata dal corpo elettorale secondo i principi di democrazia e partecipazione costituzionalmente garantiti, nonché il principio di conservazione dell’atto amministrativo” (cfr. ricorso pag. 11), perché l’esercizio di tali diritti non può che svolgersi nel rispetto dei limiti e delle forme previste dalla legge

(Dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano
Ufficio Centrale Regionale sul ricorso presentato dalla lista Per la Lombardia in seguito all’esclusione dalla campagna elettorale
)

Quindi, sarebbe tutto a posto, la democrazia salva e la volontà manifestata dal corpo elettorale garantita? Ma fatece ride! Perché? Chiariamo…

La Corte d’appello di Milano, come è noto si è espressa. Negando la possibilità alla lista del candidato alla presidenza della regione Lombardia Roberto Formigoni (Per la Lombardia) di correre per le elezioni del 28 e del 29 marzo. Le ragioni dell’esclusione, in sintesi, sono queste: 514 delle firme presentate per costituire la lista non sono state ritenute in regola, facendo sì che quelle valide conteggiate fossero solo 3.250, 250 in meno di quelle necessarie. Queste le ragioni più o meno oggettive addotte per legittimare l’esclusione di Formigoni dalla competizione elettorale.

Tutti d’accordo, nella sostanza. In fondo, se mancano delle firme, mancano, punto e basta. Che poi Penati possa diventare presidente solo con una vittoria a tavolino, per abbandono del campo da parte dell’avversario, anche su questo sono tutti d’accordo. Pure sul fatto che sì, la svista non è da poco; ma cacciare dalla tornata elettorale chi da tre mandati vince ininterrottamente tutte le elezioni con percentuali altissime, per un fatto pseudo-burocratico, neanche questo è da poco. E forse, sarebbe giusto tentare di trovare una soluzione per metterci una pezza. Anche su questo – più o meno – tutti concordi. No, non tutti, in realtà.

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I giudici di Milano, hanno pensato bene che non bastasse spiegare nelle motivazioni della sentenza che le leggi sono leggi e che vanno rispettate, che farlo costituisce uno dei principi della democrazia e che le regole non si cambiano in corsa ma a fine partita. Se avessero fatto solo questo, si sarebbero limitati a fare il loro lavoro.

 

 

Invece, con un’acrobazia mentale degna di Einstein, si sono spinti ben oltre. Riepilogando: Formigoni viene eletto per la prima volta alla guida della regione Lombardia con il 42,2 per cento dei voti, nel 2000 stravince con il 62,2 per cento mentre nel 2005 è rieletto per la terza volta con il 53,4 per cento. Qualche milione di cittadini Lombardi lo hanno ripetutamente voluto alla presidenza della Regione.

 

 

Eliminarlo d’emblée, significherebbe zittire quei milioni di cittadini. I giudici, però, la pensano diversamente. Farlo fuori – spiegano – in realtà, è cosa indifferente. Per la vita democratica è irrilevante. Per il bene comune, per i principi di partecipazione costituzionalmente garantiti e quelli di conservazione dell’atto amministrativo, è trascurabile. A onor del vero – si legge nelle motivazioni della sentenza – rimuovere Formigoni, con annesso tutto il centrodestra, qualche problemino potrebbe comportarlo. Sì, comporterebbe, nello svolgimento delle elezioni, alcune “difficoltà materiali”. Geniale.







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