DIETRO LE QUINTE/ Maroni contro Albertini, arbitra Formigoni

- Anselmo Del Duca

I sondaggi parlano chiaro: il Pdl separato dalla Lega non vincerebbe le elezioni. Né in Lombardia né altrove. Bersani tenta di stravincere, ma Casini ci starà? L'analisi di ANSELMO DEL DUCA

formigoni_angoloR400 Immagine di archivio

Che sia election day oppure no, sul versante politico conta piuttosto poco. Il punto politico è un altro: un centrodestra diviso si condannerebbe alla sconfitta nella sua roccaforte lombarda e consegnerebbe la regione alla sinistra.
I sondaggi che circolano nelle segrete stanze e che ilSussidiario.net ha già anticipato sono chiarissimi: il PD viaggia intorno al 28/29 per cento mentre Pdl e Lega sono stimati entrambi a quota 16 per cento. Nel 2010 avevano rispettivamente il 32 ed il 26 per cento. Secoli fa, pare. Adesso tutto è cambiato, tutto sembra perduto per il centrodestra lombardo. Il problema vero per riaprire la corsa alla conquista del 39esimo piano di Palazzo Lombardia è superare il dualismo fra le candidature di Gabriele Albertini e di Roberto Maroni.
Fra le due pare più forte quella dell’ex ministro dell’Interno. La Lega non ha mai fatto mistero, almeno dal luglio scorso, di subordinare una eventuale alleanza sul piano nazionale a una candidatura targata Carroccio per la Regione Lombardia. E mettere in campo il proprio leader è la dimostrazione che l’offerta è seria e attende una risposta finale dal partito di Berlusconi ed Alfano.
Al contrario, Albertini, partito con grandi consensi all’indomani delle dimissioni di Formigoni, non sembra in grado di ampliare la propria base elettorale. La scelta di campo dell’Udc a favore di Umberto Ambrosoli è in questo senso piombo nelle ali per la sua candidatura. E certo non è piaciuta in casa Pdl che l’ex sindaco di Milano si sia detto pronto a restituire la tessera del partito in caso di sostegno a Maroni. Forte è però il sostegno che gli viene dallo stesso Formigoni, che in qualche modo potrebbe diventare l’arbitro della situazione, convincendo o meno Albertini a fare un passo indietro.
A dispetto di qualche polemica sopra le righe il dialogo fra Pdl e Lega in Lombardia non si è mai interrotto, ben consapevoli che questa è l’ultima linea del Piave anche a livello nazionale per difendere le ragioni della galassia dei moderati. Berlusconi non ha mai interrotto i contatti con lo stato maggiore del Carroccio, i suoi colonnelli, come Mario Mantovani insistono che ogni decisione dovrà essere presa attraverso un vertice fra quelli che in questo momento sono solo ex alleati. Del resto, i vertici del Pdl lombardo hanno ben chiaro che andare divisi alle elezioni vuol dire consegnare la Regione alla sinistra.

E Maroni risponde a queste aperture ribadendo che le primarie di coalizione sono una soluzione “utile e intelligente”, anche se per ragioni di bottega deve aggiungere che non c’è alcun timore a correre da soli. Probabile che da questa situazione d’impasse si uscirà con una brusca accelerazione solo quando sarà definita al data del voto. 
Per il Pd “spacchettare” le elezioni regionali rispetto alle politiche equivale a tentare l’uno-due da KO nei confronti del centrodestra, oggi più che mai all’angolo dei ring della politica. Uno schema inaccettabile non solo per Pdl e Lega, ma anche per l’Udc, che guarda a sinistra, ma non vuole che i democratici stravincano.
Bersani però tiene duro, e intende sperimentare in Lombardia uno schema a metà strada tra il politico ed il civico che poi potrebbe replicare anche a livello nazionale. L’esperienza vincente di Pisapia a Milano è il solco nel quale la candidatura di Ambrosoli s’inserisce, anche se la sua costruzione potrebbe rivelarsi più complessa del previsto, come si è visto con i tentennamenti di Ambrosoli di fronte all’ipotesi delle primarie. Alla fine, infatti, il candidato riluttante è stato convinto ad accettare questo bagno di legittimazione, si voterà il 15 dicembre.
Di sicuro per i democratici espugnare una regione dove non c’è mai stata partita sarebbe un successo clamoroso, che farebbe prendere la rincorsa verso il governo del paese. 
Le quotazioni dell’election day sono però in risalita, a favore di una data fra il 3 ed il 17 marzo. E allora tanto per il Pdl quanto per la Lega sarebbe più facile ritrovarsi insieme anche a livello nazionale, anche se sbarrare la strada alla coalizione Pd-Sel sembra oggi impossibile. Tutto dipenderà dalla legge elettorale.





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