SCENARIO/ Se (anche) Beppe Grillo fa la fine di Scelta Civica…

- Aldo Brandirali

Non si può fare politica facendo l’antipolitica: per questo, scrive ALDO BRANDIRALI, abbiamo assistito al declino di Scelta Civica. Una fine a cui è destinato anche il Movimento di Grillo?

monti_scelta_r439 Mario Monti (Infophoto)

Tra il 2011 e il 2013, Mario Monti aveva fatto il governo dei tecnici. Scelta Civica è nata da questa esperienza e si è presentata alle elezioni del 2013. Il destino di questa formazione politica è stato segnato fin dall’inizio: dovevano prendere più del 10 per cento ma non ci sono riusciti, hanno preso poco più dell’8 per cento. Da questo risultato è nato un governo che ha sostituito Monti, quello di Letta, che ha cercato di essere ancora un governo tecnico sostenuto sia da Bersani che da Berlusconi.

Alla base del fallimento elettorale di Scelta Civica è il fatto di non aver raccolto i voti dell’antipolitica. Questi sono stati espressi dal 46 per cento di astensionisti e dal 24 per cento dei voti al Movimento di Grillo. Era dunque vero che la politica aveva scandalizzato tutta l’Italia, che c’era un grande spazio per il cambiamento; ma si doveva fare un grande rinnovamento politico, offrire la concretezza delle soluzioni ai problemi del Paese. Nel momento storico in cui ha trionfato l’antipolitica, la decisione di costruire Scelta Civica non ha avuto il coraggio di diventare una vera proposta politica. Per questo il successivo declino era in fondo scritto come un destino: non si può fare politica facendo l’antipolitica.

E’ l’anticipazione di quello che succederà al movimento di Grillo, anche se tiene meglio l’essere fuori dal governo a gridare contro tutti. Fra i cinque senatori, due deputati, un ministro passati da Scelta Civica al Pd di Renzi ci sono nomi famosi, Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Stefania Giannini, e anzi si potrebbe dire che ci sono ritorni al Pd, come Pietro Ichino, che si era messo con Monti alla ricerca di una visione più aperta nelle relazioni sociali rispetto a quella del Pd di Bersani e della Cgil della Camusso. Dunque Renzi non ha solo ricompattato il Pd, ha anche recuperato l’ala liberale che se ne era andata.

Ora c’è stato il congresso di quel che rimane di Scelta Civica, erano 360 delegati, che al 94 per cento hanno eletto segretario il deputato Enrico Zanetti, il quale ha come linea “staremo a vedere se il Pd ci tratta con dignità”. Dunque c’è un pezzetto, quel che rimane di Scelta Civica, che si colloca all’esterno del Pd e che non dichiara l’area di appartenenza. Era presente Quagliariello, dell’Ncd di Alfano, e anche Italia Unica di Passera, e persino Forza Italia. Quagliariello ha proposto a Zanetti di stare insieme nell’area di mezzo, proprio così ha definito il centrismo, area di mezzo fra Renzi e Salvini. L’idea di essere area di mezzo è una variante rispetto al centrismo teorico di Casini e Buttiglione, ma con l’estremismo di Salvini la destra si dà un brutto volto e chi non è di sinistra rimane in una specie di limbo.

Così, il centrismo è un ruolo gregario, la democrazia italiana rimane zoppa, perché il problema iniziale di Scelta Civica non è stato affrontato: la strada dell’antipolitica è fallimentare, il nucleo di liberali che avevano dato vita a Scelta Civica non cerca, non discute, non persegue l’alternativa, manca il rinnovamento della politica e l’idea di stare nell’area di mezzo entusiasma solo i collezionisti di rarità.

Intanto Berlusconi ha incontrato Salvini e ha stretto un’alleanza con uno che è pronto a tutto, nel sociale con la Camusso e nell’ideale con Marine Le Pen. Così facendo Berlusconi si toglie da ogni responsabilità di sostenere le riforme. Ma Renzi gli risponde, con tutta la sicurezza che viene dai suoi successi: ho i numeri per andare avanti anche senza il patto del Nazareno. Dunque una stabilità politica ci sarà, ma il Paese viene governato da una cultura e una classe dirigente che è di sinistra e che dovrà sempre mediare fra sindacalisti duri e puri e cooperative assetate di appalti: categorie tendenzialmente corporative, puntualmente rappresentate nel sistema di potere della sinistra, mentre le riforme vengono permanentemente svuotate dei principali contenuti di cambiamento e il Paese resta senza un’alternativa democratica.







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