CAOS M5S/ Elezioni comunali, il caso Pizzarotti regala Roma e Torino al Pd

- Anselmo Del Duca

L'epurazione di Pizzarotti regala la politica al miraggio di una gestione del potere astratta e moralizzante. E se gli elettori del M5s alle comunali cambiassero idea? ANSELMO DEL DUCA

virginiaraggi_zoom1R439 Virginia Raggi

Lo insegna la storia delle rivoluzioni, prima e dopo Robespierre. Lo ricorda la folgorante frase di Pietro Nenni: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura”. I grillini rischiano di fare questa stessa fine. Il caso Pizzarotti altro non è che l’ultimo (per ora) grano di un interminabile rosario di espulsioni e allontanamenti coatti. 18 deputati fra cacciati e usciti di propria spontanea volontà e addirittura 19 senatori (un quarto della rappresentanza parlamentare), oltre a un numero incalcolabile di consiglieri regionali ed esponenti locali.

Federico Pizzarotti vale di più, però. Era un simbolo, il primo sindaco grillino, e per di più di una città importante, Parma. Doveva essere il paradigma del buon governo a 5 Stelle, e invece si è trasformato in un nemico, anzi forse nel nemico pubblico numero uno dei direttorio e della Casaleggio e Associati. 

Viene da chiedersi se davvero la sua sospensione (che di certo si trasformerà in espulsione) sia dovuta al silenzio sull’avviso di garanzia. Il sindaco grillino di Pomezia (Roma) si è autodenunciato per un peccato simile, e nulla è accaduto. Le ragioni della rottura sono più profonde e più antiche. Le radici affondano in una rivendicazione di autonomia che era insita nel grillismo delle origini e dei meet up (i gruppi locali), ma che ormai appartiene alla preistoria di un movimento sempre più centralizzato.

Probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso è costituita da un’intervista al Corriere della Sera in cui Pizzarotti, nel difendere il collega livornese Filippo Nogarin, aveva affermato di non chiedere mai a Casaleggio il permesso per esprimere la sua opinione, che nello specifico suonava come un duro richiamo ai tanti forcaioli che si annidano fra le fila grilline. A loro l’invito a scendere dal pero per rendersi conto che facendo i sindaci è inevitabile sporcarsi le mani, rischiando anche qualche avviso di garanzia. 

Si è trattato del pretesto perfetto per far scattare la mannaia (telematica). Il quartier generale milanese probabilmente non ha saputo resistere all’ala giustizialista del movimento. In più, ha voluto dare un segnale di rigore al Pd, da cui non cessa il fuoco di bordata contro i due pesi e le due misure. Vedete, sembra voler dire la mossa, non è che chiediamo solo le dimissioni dei vostri sindaci inquisiti, siamo anche inflessibili con i nostri. Grillini che sbagliano, non più grillini.

Tutto da verificare è l’effetto che la sospensione di Pizzarotti potrà avere sul consenso del movimento. Le elezioni amministrative sono ormai alle porte, e i 5 Stelle sembrano aver concentrato le loro aspettative su due sole delle grandi sfide, Roma e Torino. 

Nella Capitale Virginia Raggi è la front runner e sembra aver prenotato un posto al ballottaggio. Nel capoluogo piemontese solo Chiara Appendino può sbarrare la strada al bis di Piero Fassino. Viene da chiedersi se l’elettorato più moderato non potrebbe essere spaventato dall’idea di contribuire all’affermazione di un sindaco 5 Stelle, che potrebbe essere delegittimato e indotto alle dimissioni dal suo stesso gruppo politico per via del più banale degli avvisi di garanzia. 

Amministrare le nostre città — hanno scritto un gruppo bipartisan di sindaci in una lettera aperta ai massimi vertici dello Stato — è diventato un compito sempre più gravoso. Per fare il sindaco oggi, ha chiosato un ex come Massimo Cacciari, bisogna essere dei pazzi. Non solo fondi prosciugati, ma anche la spada di Damocle di qualche inchiesta, fosse anche solo come atto dovuto. E se un primo cittadino 5 Stelle è così facilmente azzoppabile, qualcuno può anche pianificare di pescare nel torbido, sfruttando un innegabile punto di debolezza di un movimento in cui i giacobini hanno prevalso forse anche perché la prematura scomparsa di Roberto Casaleggio sembra aver appannato la capacità di visione politica di lungo respiro. 

Ecco perché persino un giornalista vicino al Movimento come Marco Travaglio si è spinto a scrivere che il caso Pizzarotti potrebbe trasformarsi in un tragico autogol. Se vogliono conquistare la fiducia dei moderati i 5 Stelle debbono fornire maggiori garanzie di affidabilità. Devono, in altri termini, dimostrare di saper discernere fra i rischi odierni dell’amministrare e i comportamenti davvero penalmente rilevanti.

Facciamo l’esempio di Roma: nei conti del comune c’è una voragine di quasi 14 miliardi di euro. Ficcandoci le mani dentro con energia per tentare il risanamento si rischia grosso, si finisce per toccare santuari e privilegi costituiti. Facile immaginare che ne possano seguire ricorsi e denunce, con il corollario di avvisi di garanzia agli amministratori. Seguendo il metro di Pizzarotti potrebbero essere gli stessi grillini a provocare le dimissioni di un loro sindaco, e il ritorno di un commissario. 

Per risanare Roma, come per candidarsi a governare l’Italia, serve un grado di affidabilità infinitamente superiore a quello che oggi il Movimento 5 Stelle dimostra. 





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