DOPO IL VOTO/ Da Parma(lat) a Torino, ecco il segreto del successo di M5s

- Daniele Gigli

La possibilità di fare "comunità" e di essere presi sul serio in quel che si pensa: ecco il segreto della vittoria di M5s a Torino (e non solo). Altro che voto antirenziano. DANIELE GIGLI

m5s_bandiera_politicaR439 Infophoto

Come già accaduto dopo il primo turno, mi sembra di notare una sorta di rincorsa a sminuire il risultato elettorale del M5s. Ma se dopo il primo turno si poteva ancora beatamente sperare che quella in arrivo non fosse una valanga, bensì qualche fiocco di neve più agguerrito del solito, la riconferma della preferenza per Virginia Raggi e ancor più la sconvolgente, impensabile espugnazione di Torino da parte di Chiara Appendino, non possono davvero risolversi nelle categorie del “voto di protesta”, dei mancati accordi politici o – sul piano predittivo – del “tanto non andranno da nessuna parte”, con quel sottile masochistico auspicio per cui pur di non vedere Sansone affermarsi anche noi filistei possiamo tranquillamente morire.

Non sono affatto convinto che a Roma e Torino abbia prevalso il voto contro Renzi, ma che abbia viceversa prevalso un voto “per”. Sarebbe utile avere dei dati che confermino queste impressioni, ma facciamoci caso: dove ha vinto il M5s per la prima volta delle amministrative di un certo peso? In una città piccola, ma già troppo grande per la vita di quartiere come Parma. Una Parma, tra l’altro, che all’epoca viveva uno sfascio economico e psico-morale con l’onda lunga di Parmalat, i primi sentori del crollo imminente del Parma calcio e un sindaco di specchiata onestà che aveva sorpreso tutti con il suo amore per la marmellata. 

E dove ha vinto oggi? In città grandi e spersonalizzate come Roma – a quanto ne sappiamo dalle narrazioni mediatiche sfasciata anch’essa – e Torino, città che – al di là delle autorappresentazioni che ama ripetersi da più di vent’anni – non favorisce l’incontro e lo scambio, ma l’indifferenza (casomai l’aggregazione), anche in virtù – questo è un mio vecchio pallino da abitante innamorato della città – della sua struttura urbanistica adattissima a evitarsi. 

In situazioni del genere, che cosa ha offerto il M5s ai votanti? La possibilità – vera o ingannatrice il tempo ce lo mostri e ognuno poi lo giudichi – di dire la propria. Insomma, nelle cittadine sotto i 15mila abitanti il Movimento 5 Stelle non vince – e spesso infatti non si propone – perché non serve. Non risponde all’esigenza di farmi sentire, perché in una cittadina io so letteralmente dove andare a prendere per la collottola l’assessore e dirgliene quattro. O, più civilmente, prendere un caffè con lui e proporre un’idea per vivere tutti un po’ meglio. 

La retorica del voto web, della democrazia semi-diretta, del poter finalmente dire di la propria, del poter farsi sentire: è questo che ha fatto presa su una generazione di persone preparate e attive che vivono nella perenne sensazione latente di non contare nulla, nonostante portino avanti la baracca. Un voto di pancia, ma di “pancia intellettuale”, se così si può dire. Ho la sensazione che se potessimo analizzare i dati dei votanti, scopriremmo che la gran parte voti grillini viene da laureati e/o liberi professionisti.

Da gente cioè che è intelligente, che si è preparata e continua a farlo, e che vorrebbe dire, farsi ascoltare… Ma che non trova da nessuna parte qualcuno che mai li interpelli sul serio e che allora – piuttosto di niente – accetta di farsi convogliare nell’illusione che con il clic sul sito di Grillo o con referendum su referendum potranno finalmente esprimersi. “Perché la gente è stanca,/ è gonfia di rabbia e non è una malattia“, cantavano i Negrita in un lontano 1993, e la situazione non mi pare migliorata. 

Per questo credo che il voto sia andato non tanto contro Renzi, ma a favore di qualcuno che si presenta, si dichiara desideroso di chiedere la tua, di permettere a chiunque di esprimersi e di essere ascoltato. Di fare, in qualche modo, comunità. Una comunità che è però terribilmente intellettuale, come tutte le comunità fondate sugli idealismi. Ed è questo che mi preoccupa dell’ottusa reazione che la politica professionale da anni sta avendo: perché i votanti del M5s non sono né rozzi, né ignoranti e non vorrei che questo movimento, con le istanze che porta, continui ad attrarre in un buco nero le menti migliori della generazione degli attuali trenta-cinquantenni per fare poi la fine del Partito d’Azione, spazzato via non appena il gioco si fa duro – proprio perché ultimamente intellettualistico – ma lasciando chi ci ha messo cuore ed energie più strizzato e disilluso di prima.

Mi sembra che prima di pensare a un finto monocameralismo e altre amenità proposte dalla riforma istituzionale, ci sarebbe da preoccuparsi di dare voce a queste voci e ad altre che ancora rimangono escluse. Per quel che vale, io tiferei per il ritorno al proporzionale puro. Ma quale che sia la soluzione, questo voto è stato un terremoto. Non facciamo finta di niente. Ascoltiamoci.





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