ELEZIONI SICILIA/ Il caos politico che qualcuno attende con ansia

- Gianluigi Da Rold

Fatta la legge elettorale, la politica è in attesa di conoscere il verdetto delle urne siciliane. Ma all'orizzonte si annuncia solo il perdurare dell'instabilità. GIANLUIGI DA ROLD

elezioni_voto_schede_elettorali_2_lapresse_2016 Elezioni Comunali Amministrative 2018, Toscana e Umbria (LaPresse)

Alla fine di questa settimana, dopo le elezioni regionali in Sicilia, si potrà fare un punto più realistico sulle prospettive politiche italiane,

Alla fine di questa settimana, dopo le elezioni regionali in Sicilia, si potrà fare un punto più realistico sulle prospettive politiche italiane, in fondo anche sulla reale percezione del rapporto esistente tra la classe dirigente italiana e la società civile, con tutte le relative conseguenze. 

Il momento delle scadenze elettorali è in genere, anche se non sempre per la verità, un momento di verifica molto più importante delle analisi, degli scenari immaginati da un apparato mediatico (giornali e televisione) tra i più sgangherati del mondo, e anche del “contrabbando” spericolato, mai ben comprensibile, dei dati numerici,  relativi all’uscita o alla permanente incertezza, sulla grande crisi del 2007: dieci anni di durata rispetto alle indicazioni del “fenomeno” Francesco Giavazzi, che nell’agosto di quel 2007, sul giornale più importante d’Italia, ipotizzava un ciclo negativo di un paio di mesi al massimo.

Tutti stanno azzardando, prima del voto siciliano, citazioni molto dotte. Noi ci limiteremo a ricordare la frase di un grande regista cinematografico, Pietro Germi, che alla Sicilia dedicò film importanti. Germi sosteneva che “la Sicilia è l’Italia due volte”. La metafora serviva solo ad accentuare i pregi e i difetti italiani, a comprendere nell’essenza caratteri e umori molto di più che in altre zone del Paese.

Ora si può dire che la rissa che si è scatenata e che si vede ogni giorno intorno alle elezioni siciliane, con quattro principali liste in competizione, sembra la proiezione dell’Italia che andrà al voto tra qualche mese e indica un quadro ancora più drammatico della grande confusione nella quale si dibatte il Paese.

Il periodo della “grande confusione” è nato almeno da 25 anni, con la liquidazione scandalosa di un’intera classe dirigente, per via giudiziaria, e con gli anni della cosiddetta “prima repubblica”, che è finita più volte, senza che la seconda sia mai veramente cominciata. Ora è stata sepolta definitivamente il 4 dicembre del 2016, con il risultato di un referendum che ha difeso, quasi per disperazione, una Costituzione che doveva certamente essere rivista, in ben altri termini, dai “riformatori” spericolati e avventurieri, con tratti di incompetenza giuridica, del 4 dicembre. Questa Costituzione doveva invece essere modificata magari con un’Assemblea costituente  fin dal 1992. Di fatto quel 4 dicembre segna anche la fine della diciassettesima legislatura repubblicana.

Ora la “grande confusione” è più percepibile che negli ultimi 25 anni per una serie di episodi che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Proviamo a fare una breve ricognizione di quello che accade nel Belpaese.

Dopo l’illusione del nuovo Pd di Matteo Renzi, che stravinse alle elezioni europee, si è arrivati lentamente a una disillusione profonda e frustrante, culminata con una serie di sconfitte elettorali del Pd e a un assenteismo elettorale impressionante, che sta battendo ogni record storico italiano. 

Il fatto è che gli effetti della crisi economica, forse aggravati dalla politica economica intrapresa dai “geni al contrario”, Mario Monti ed Elsa Fornero (quelli che il premio Nobel Paul Krugman mette nella lista della “notte degli Alesina viventi”) hanno lasciato un segno profondo nella società italiana. E il Pd renziano non ha risolto un bel niente.

Qualche dato è migliorato certamente, ma la risalita a prima del 2007 è ancora lunghissima e la durata della crisi diventa pesantissima. In più c’è un’aria di “balle”  elargite con una irritante facilità. Un mese fa c’erano accenni di entusiasmo, in questi giorni l’ottimismo pare svanito: la disoccupazione (oltre a tutto prevalentemente precaria) è sempre ferma a più dell’11 per cento, quella giovanile è aumentata, mentre la pressione fiscale è immutata e asfissiante. Non esiste una politica economica degna di questo nome e i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei “sudditi” assumono i tratti di una provocazione di fronte alla richiesta predicata con monotonia quasi irriverente ai cittadini.

Mettiamo nel conto che l’area della povertà si è allargata e non è certo migliorata la diseguaglianza sociale.

Poi ci sono i traumi del crack bancario, con risparmiatori truffati e non risarciti, che il Pd mette quasi inconsapevolmente, con alcuni ragionamenti, in contrapposizione al salvataggio di banche, correntisti e posti lavoro. 

Un delirio che sta passando tutto al vaglio di una commissione del tutto inutile e provoca una farsa da terzo mondo, con Matteo Renzi che chiede le dimissioni del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco; dimissioni che vengono poi respinte dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e anche dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. 

Visco ha vigilato o non ha vigilato sull’andamento delle banche? Non lo sapremo mai completamente e tutti si faranno un’idea personale, mentre si discute di tutto tranne che del vero problema: quale è il ruolo della nuova banca arrivata con il 1992, che rinnova tutte le sciagure della cosiddetta “banca universale”? Quella che fa trading, che fa speculazioni in Borsa, che predica la “felicità” degli azionisti. Di questo caposaldo del neoliberalismo, predicato da alcuni irresponsabili, naturalmente non si parla mai.

Dal nodo bancario si salta al cuore della rissa permanente della politica. 

La sinistra, orfana di qualsiasi reale riferimento riformistico, per la storia comunista e catto-comunista prevalente che è rimasta dopo tangentopoli, è prigioniera della lotta per un’eredità immaginaria che che è stata sconfitta dalla storia. Si litiga e basta, ci si divide e basta. In Italia, la destra è terminata con Giovanni Giolitti e tutto quello che è venuto dopo è solo “fascismo”, poi qualunquismo e infine inadeguatezza culturale. 

Insomma, non abbiamo conosciuto il Labour, non sappiamo che cosa sia stata Bad Godesberg, ma non conosciamo neppure i “tories” e tanto meno un De Gaulle. In più, la falsificazione storica scientemente programmata in Italia ha prodotto un nuovo fenomeno di partecipazione alla lotta politica: i pentastellati del comico Beppe Grillo, destinati a durare e in questo senso quasi echeggianti il lunghissimo sessantotto italiano, una stranezza peninsulare. 

Se il ’68 occhieggiava a Mao, anche quando questi si accordava con gli americani, i 5 Stelle sono solo predicatori del nulla e del vuoto politico. Se il ’68 si batteva per la “fantasia al potere”, i 5 Stelle sono i precursori, o i continuatori, della “rivoluzione continua dell’incompetenza”.

Sperando di sbagliarci, l’impressione è che la rissa politica si acquieti, che in Sicilia si vada a votare, che il paese esca veramente dalla crisi e che alle prossime politiche esca la possibilità, perlomeno la possibilità di costruire una maggioranza.

Forse vittime di un pessimismo congenito, se dovessimo scommettere un euro, punteremmo sul perdurare di un’instabilità continua, solo limata da nuove presidenze tecniche, magari con esperienza europea, e una classe politica sempre più immersa in una rissa continua. 

L’Italia sfida la storia: è possibile vivere senza politica? Non ci crediamo, perché il vuoto in politica non esiste e quando c’è il vuoto chi lo occupa porta solo restrizioni della democrazia. La “grande confusione” è solo un rischio da guardare con apprensione. La Sicilia darà una prima risposta.





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