SCENARIO/ Trump e la Cina lasciano a spasso Conte e Mattarella

- Ugo Finetti

"Terza repubblica", "contratto", "cambiamento" sono parole altisonanti, ma la realtà è il ritorno alla prima repubblica. Con molte difficoltà in più. A cominciare da Usa e Ue. UGO FINETTI

giuseppe_conte_matteo_salvini_governo_1_lapresse_2018 Giuseppe Conte e Matteo Salvini (Lapresse)

L’inchiesta giudiziaria — pur ritenendo estranei i vertici M5s — evidenzia fragilità e doppiezze tra proclami di onestà e gestione colabrodo della cosa pubblica, foto in autobus e ristoranti di lusso. Rimanendo sul piano politico emerge che “terza repubblica”, “Contratto”, “Governo del cambiamento” sono parole altisonanti, ma la realtà è il ritorno alla prassi del proporzionale della prima repubblica con governo di coalizione e relativa lottizzazione, come emerge da nomine e gestione della crisi Aquarius: Conte va da Macron con Salvini contrario, Di Maio incerto e Mattarella a favore. L’attuale governo è un tripartito con opinioni e direzioni di marcia diverse, dove il M5s deve fare i conti da un lato con la Lega che si muove come “convergenza parallela” e dall’altro con il Quirinale a cui fanno riferimento i ministri degli Esteri e dell’Economia, con l’aggiunta ora dello stesso premier Conte per non continuare a apparire come “il vice dei suoi vice”. Il clima da “prima repubblica” è inoltre accentuato dalla Lega che imitando il Psi degli anni sessanta, lascia i tradizionali alleati andando a Roma con il partito di maggioranza relativa e rimanendo negli enti locali con l’opposizione nazionale.

In questo quadro emergono nervosismo e incertezza sulla scena italiana, ma, d’altra parte, cresce anche il timore che la causa principale della crisi nazionale non sia più nelle nostre mani e che i nostri “fratelli maggiori”, dalla Casa Bianca all’Eliseo, diano segni non di forza e di stabilità. Il fallimento del G7 con i successivi comportamenti delle cancellerie europee e della Casa Bianca sono segnali allarmanti. 

Trump da un lato scompiglia e beffa il sistema di alleanze occidentali degli Stati Uniti e dall’altro si avvia a cessare le sanzioni verso la Corea del Nord e sollecita la fine della messa al bando della Russia dal G7, venendo però snobbato da Putin. Mentre il vertice occidentale appariva vanificato e ridotto a un “pollaio” da Washington, il vertice antagonista celebrava negli stessi giorni lo schieramento marmoreo di Russia, Cina e India con ospite d’onore l’Iran. E Pechino, dopo aver fatto “ballare” gli Stati Uniti per un anno a suon di missili di Kim Jong-un, ha costretto il presidente Trump a recitare la parte dell’amicone con il suo pupazzo nordcoreano.

Né gli antagonisti occidentali di Trump hanno dato segno di eccezionale equilibrio e preveggenza. Il primo ministro canadese Trudeau — venendo meno ai più elementari doveri di ospite e di oratore neutrale — con iniziativa senza precedenti ha illustrato il documento di accordo finale con commenti faziosi, polemici e minacce di ritorsioni verso gli Stati Uniti. Chi lo giustifica sostiene che così si è guadagnato consensi nel proprio elettorato nazionale.

Veniamo allora al “caso Salvini”. Il ministro degli Interni che va in giro con il distintivo del partito all’occhiello e fa conferenze stampa sull’operato del Viminale con alle spalle i suoi manifesti elettorali non è certo un modello di statista. Ma i suoi contraddittori internazionali non sono stati superiori. Il premier Sanchez è entrato improvvisamente in scena sul tema dell’immigrazione — dopo che i governi, di destra e di sinistra, sulle spiagge del suo Paese, avevano in questi anni sparato e ammazzato — unicamente per ragioni mediatiche: perché spinto dal successo che stava riscuotendo nelle case spagnole il principale giornale, El Pais, che sul suo sito on line aveva imbastito una sorta di “reality show” sull’Aquarius. 

A sua volta Macron — che ha capitanato la linea dura anti-immigrazione — è entrato anche lui in scena essenzialmente per uscire da difficoltà interne. E cioè per il fatto che l’assemblea dei parlamentari del suo partito che era stata convocata per discutere di depurazione delle acque è sfuggita di mano alla presidenza macroniana con l’ala di sinistra (ex socialista) che ha cambiato l’ordine del giorno dei lavori e si è messa a incalzare il governo accusandolo di inerzia sul caso Aquarius. Il modo scomposto con cui Macron ha cercato di uscire dalle difficoltà di partito scagliandosi in una polemica internazionale non lo fanno apparire come un erede di De Gaulle o di Mitterrand e forse in Italia è stato sopravvalutato. 

La visita di Conte a Parigi forse era meglio evitarla: non è stata un gran successo. Il premier italiano senza replicare è stato ad ascoltare la ramanzina di Macron sul diritto internazionale violato dal nostro governo e l’arrogante stupidaggine secondo cui solo la Francia può fare accordi a due con la Germania, mentre se li fa l’Italia è riedizione dell’Asse Mussolini-Hitler. E così la stampa francese — Le Monde in testa — si è divertita a irridere “la langue de bois” (le parole di legno) di Conte che — “amico del popolo”, “avvocato degli italiani”, “Italia non con il cappello in mano” — si è dimostrato molto ambiguo e totalmente subalterno.

Insomma da Conte a Salvini abbiamo una rassegna di limiti, ma c’è da temere che il vero nodo da sciogliere per molti nostri problemi sia nella disordinata cabina di comando occidentale a cominciare da quella dell’Unione Europea. I presidenti imposti dalla Merkel alla guida del Consiglio d’Europa e della Commissione, Tusk e Juncker, si sono rivelati (e/o confermati) presenze del tutto inutili al G7. Ora vedremo il vertice di Conte a Berlino. La cancelliera sarà meno altera del presidente dato che è in difficoltà nel suo governo e sta cercando appoggi per succedere a Juncker dopo le elezioni europee del 2019. E tra Macron e la Merkel anche Machiavelli suggerisce come alleato più affidabile il più debole.





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