SPAZIO/ A quattro mesi dal lancio di Planck: le prime immagini dell’universo “neonato”

- int. Davide Maino

Sono passati poco più di quattro mesi quando il satellite di fabbricazione europea venne lanciato nello spazio per fotografare la “radiazione fossile”. DAVIDE MAINO ricercatore e uno dei responsabili scientifici del progetto ci racconta come procedono le scoperte di Planck

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Sono passati poco più di quattro mesi da quel 14 maggio 2009, quando alle 10:12 ora locale, si alzava dalla base di lancio dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) a Koruou (Guyana Francese) il vettore Arianne 5 con il suo prezioso carico scientifico tra cui il satellite Planck per lo studio dell’Universo primordiale. Quattro mesi in cui il satellite ha viaggiato e raggiunto la sua destinazione a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra.

Ricordiamo che l’osservatorio a microonde Planck è la prima missione europea progettata per studiare il fondo cosmico a microonde (Cosmic Microwave Background, CMB), cioè la radiazione fossile prodotta dal Big Bang. Ruotando attorno al proprio asse, il satellite genera nel tempo mappe dell’intero cielo alla lunghezza d’onda delle microonde; nel fare ciò, Planck misura le impercettibili fluttuazioni di temperatura nel CMB, la prima luce dell’Universo. Per almeno quindici mesi, i due potenti strumenti a bordo di Planck raccoglieranno ininterrottamente dati fondamentali per le teorie che descrivono la nascita e l’evoluzione dell’Universo.

In questi quattro mesi il satellite si è progressivamente raffreddato, «anche più velocemente del previsto, consentendo quindi l’accessione, secondo una procedura ben definita, di tutti i dispositivi elettronici, cuore pulsante dei due strumenti a bordo: l’High Frequency Instrument (HFI, a guida francese) e il Low Frequency Instrument (LFI, a guida italiana)»; è il primo soddisfatto commento di Davide Maino, astrofisico dell’università degli studi di Milano, membro del gruppo guidato da Marco Bersanelli e fra i principali responsabili scientifici del Data Processing Center di LFI.

L’attività di questi mesi per LFI è stata febbrile e ha visto impegnati scienziati di diverse nazionalità (italiani, inglesi, americani, tedeschi) al Data Processing Centre di LFI presso l’Osservatorio Astronomico di Trieste.

 

L’intensa campagna di test in volo (Commissioning and Performance Verification o CPV) durante il mese di luglio ha permesso di trovare le condizioni ottimali per il funzionamento dello strumento durante la fase di acquisizione dati che dovrebbe durare almeno quattordici mesi. «Test intensi e impegnativi, a orari folli in cui nonostante la fatica si assaporava la bellezza di avere tra le mani uno strumento fantastico di indagine della prima luce rilasciata dal nostro universo quasi 14 miliardi di anni fa».

Ora lo strumento è operativo a temperature ottimali (20 Kelvin per LFI e 0,1 K per HFI) e durante il mese di agosto si è svolto l’ultimo grande test: la First Light Survey. Un periodo di due settimane durante le quali lo strumento ha osservato il cielo seguendo la sua strategia di osservazione, risultante dalla combinazione del moto di rivoluzione di Planck intorno al Sole e del suo moto di rotazione su se stesso (spin). «Lo scopo era la verifica delle capacità di gestione del flusso dati giornaliero e di esecuzione, nei tempi definiti, di tutte le operazioni previste nella prima fasi di analisi dati, cioè: la ricostruzione del puntamento dello strumento, la calibrazione dei dati e la creazione delle prime mappe del cielo. Un successo. Periodo anche questo intenso, ricco di tensione, stress ed emozione quando, ad esempio, è stato eseguito senza intoppi il primo passo nell’analisi dati sui dati veri».

Pochi giorni fa l’ESA ha prodotto un comunicato riportando i risultati puramente indicativi di questi primi quattordici giorni e «già da una prima rozza analisi si può dire che lo strumento sta funzionando egregiamente e che osserviamo un segnale consistente con le nostre attuali conoscenze. È solo l’inizio, ma è già entusiasmante; e il proseguire delle osservazioni ci permetterà di cogliere dettagli delle prime fasi di vita del nostro Universo mai ottenuti prima. Davvero, una grande avventura».







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