VIRUS HIV/ Siringhe infette e città sovraffollate, le nuove teorie scientifiche sull’origine dell’Aids

- La Redazione

La chiusura della Fashon Week di Milano con la raccolta fondi per la lotta all'AIDS riaccende i riflettori sulla malattia. Ma sa dove è nato il virus che flagella questo secolo? Un breve riepilogo sulle principali teorie ci aiuta a capirlo

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L’origine dell’Aids è ancora avvolta da un alone di mistero. Nel corso degli anni si sono succedute diverse teorie su come si sia formato per la prima volta il virus dell’Hiv e sul modo con cui si sta diffondendo. Ma quali sono le scoperte più recenti della scienza su questo argomento?

Secondo una recente ricerca australiana in alcuni Paesi il 65% delle nuove infezioni da Hiv deriverebbe dall’uso di siringhe infettate. Mentre secondo un team Usa, la colpa sarebbe della nascita delle città moderne alla fine dell’800, che avrebbero agito da bacino di coltura dell’Hiv trasmesso all’uomo dalle scimmie. Ma sono numerose anche le teorie complottiste sull’Aids, che hanno sviluppato ipotesi stravaganti e in contrasto con la medicina, facendo leva sul fatto che le conoscenze degli scienziati sull’Hiv sono ancora costellate da punti oscuri. Ecco un approfondimento sulle scoperte più recenti e, a seguire, una carrellata delle teorie dei cosiddetti «ricercatori dissidenti».

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet, più del 90% dei 16 milioni di dipendenti da droghe da iniezione non riceve aiuto per evitare di contrarre l’Aids. Con il risultato che l’emergenza sanitaria sta crescendo in Stati come Russia, Cina, Malesia e Thailandia, spiegano gli scienziati, luoghi dove la popolazione tossicodipendente non è coinvolta nei programmi contro l’Aids. Le droghe da iniezione come l’eroina sono sempre più un’importante fonte di trasmissione di Hiv in numerosi Paesi.

 

I contagi si verificano ad esempio attraverso la condivisione di siringhe. Dei circa 16 milioni di tossicodipendenti da sostanze da iniezione nel mondo, circa 3 milioni avrebbero contratto l’Aids. La popolazione tossicodipendente costituirebbe, secondo le stime dei ricercatori, il 10% dei malati di Aids nel mondo. E in alcuni Paesi le percentuali sono ancora più elevate, come in Russia, dove c’è un milione di tossicodipendenti sieropositivi, e circa il 65% delle nuovi contagi di Hiv è provocato dall’utilizzo di siringhe infettate. «Anche se il numero di Paesi con un buon livello di servizi di prevenzione Hiv sta crescendo, il livello di copertura per la popolazione tossicodipendente è basso in numerosi Paesi», rivela Bradley Mathers dell’Università del New South Wales in Australia, direttore della ricerca in questione.

 

Misure di prevenzione come la distribuzione di siringhe pulite e sostanze sostitutive come il metadone, sono considerate dagli esperti come essenziali per arginare la pandemia. Ma alcuni governi, accusano i ricercatori, non forniscono questi servizi per il timore di essere considerati troppo teneri con la droga. Gerry Stimson, direttore della International Harm Reduction Association, polemizza con le nazioni che fanno «politica sulla vita delle persone», rilevando che sono milioni i tossicodipendenti che rischiano la vita a causa di queste politiche. Come sottolinea il sito dell’Aduc, secondo l’agenzia UNAIDS delle Nazioni Unite il 30% dei casi di trasmissione di Hiv al di fuori dell’Africa subsahariana è causato dall’uso di siringhe infette.

 

 

Stimson punta il dito soprattutto contro la Russia, che sta diventando la regione con il più alto tasso di crescita di casi di Hiv a causa della negligenza della popolazione tossicodipendente. I ricercatori hanno rivelato che solo l’8% dei tossicodipendenti nel mondo ha avuto a disposizione programmi di scambio siringhe e accesso a siringhe pulite nel 2009. Si va dalla Repubblica Ceca, dove il 100% dei tossicodipendenti ha accesso a programmi di prevenzione, a Paesi come Cina, Malesia e Thailandia con percentuali modestissime che sfiorano il 3%. Gli studiosi concludono lo studio rimarcando che i livelli attuali di assistenza e trattamento per i tossicodipendenti «non sono sufficienti a prevenire, bloccare e far regredire l’epidemia di Hiv in questa popolazione».

 

Don Des Jarlais, del Beth Israel Medical Center di New York, spiega che il basso livello di servizi dimostra come alcuni governi debbano adeguare le proprie politiche «all’evidenza scientifica». «Uno sforzo sostenuto a lungo termine per proteggere la salute di quegli individui che consumano droghe lecite e illecite richiede che i politici si dotino di un minimo di competenza scientifica sul consumo di droghe e sulla tossicodipendenza», scrive la scienziata.

 

Uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista Nature sostiene che il virus potrebbe essere stato trasmesso agli esseri umani dalle scimmie tra il 1884 e il 1924. Fino a quel momento il virus è stato relativamente contenuto, diventando però una vera e propria pandemia con la crescita delle città moderne che avrebbero permesso all’Hiv di adattarsi e quindi prosperare.

 

 

A coordinare la ricerca è stato il dottor Michael Worobey. Come scrive il sito della Bbc, il principale responsabile sarebbe la fondazione di città coloniali nell’Africa sub-sahariana tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Alcuni esperti americani hanno analizzato uno dei primi campioni del virus, trovato nel 1959 nella Repubblica democratica del Congo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, suggerisce che il virus potrebbe essere stato trasmesso agli essere umani dalle scimmie tra il 1884 e il 1924. I ricercatori credono che le città di nuova costruzione possano avere permesso al virus di prosperare. L’Aids, la malattia causata dall’Hiv, è stata segnalata per la prima volta dai medici nel 1981, ma il virus all’epoca si era già diffuso da diversi decenni.

 

L’Hiv non è un singolo virus, ma è composto da diversi ceppi e sottotipi di ceppi, di cui alcuni condividono lo stesso «evento fondatore» nella storia, in cui un singolo uomo è stato infettato. Gli scienziati credono che questi «eventi fondatori» siano stati provocati da alcuni uomini che hanno mangiato carne delle scimmie infettate con un virus simile. Una ricerca pubblicata lo scorso anno ha scoperto il progenitore di un sottotipo di Hiv responsabile della maggior parte dei casi moderni negli Stati Uniti e in Europa, in campioni di sangue raccolti a Leopoldville, l’attuale Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. Ora lo stesso gruppo di ricerca, dell’Università dell’Arizona a Tucson, ha trovato un altro campione che contiene un differente sottotipo in un campione prelevato a un diverso paziente nel 1960, sempre a Leopoldville.

 

 

IL «PROGENITORE» DEL VIRUS – Analizzando le differenze genetiche tra i due virus e calcolando quando impiegano a evolversi, gli studiosi sostengono ora che i due sottotipi di Hiv hanno probabilmente un progenitore comune che risale come minimo a 50 anni prima. Il dottor Michael Worobey, che ha coordinato la ricerca, ha dichiarato alla Bbc: «Ora per la prima volta siamo stati in grado di confrontare due ceppi dell’Hiv relativamente antichi. Questo ci ha aiutato a stabilire con esattezza quanto rapidamente si è evoluto il virus e a formulare alcune conclusioni davvero solide sul momento in cui l’Aids è stata trasmessa agli esseri umani, come l’epidemia sia cresciuta da quel momento e quali fattori abbiamo permesso al virus di diventare un fattore patogeno per gli esseri umani».

 

L’Hiv era e rimane un virus «trasmesso in modo relativamente scarso». E quindi la chiave del successo del virus è stato probabilmente la crescita di città come Leopoldville agli inizi del ‘900. Il largo numero di persone che vivevano strettamente a contatto le une con le altre avrebbe fornito maggiori opportunità allo svilupparsi di nuove infezioni. «Credo che il quadro che è emerso qui sia che i cambiamenti della società possono avere aperto la porta al diffondersi dell’Hiv», ha aggiunto Worobey. Il professor Paul Sharp, un esperto dell’origine e dell’evoluzione dell’Hiv all’Università di Edimburgo, ha dichiarato che anche se la scoperta era principalmente di «interesse storico», potrebbe fornire maggiori indizi su come il virus sia cambiato nel tempo.

 

 

Sharp ha suggerito che è probabile che tutti i primi casi dell’Hiv 1 di «gruppo M» – il ceppo che causa 19 moderne infezioni su 20 – si sia verificato nell’area di Leopoldville. Sharp ha dichiarato: «Ora abbiamo un quadro dettagliato su dove e quando abbia avuto origine il virus Hiv-1 del gruppo M, e quindi sulla preistoria della pandemia di Aids».

 

Diverse le altre ipotesi scientifiche sull’origine dell’Aids, anche se tutte si ispirano alla teoria dominante (o «del cacciatore») secondo cui il passaggio del virus sarebbe avvenuto involontariamente durante la macellazione delle carni di scimmia, consumate come alimento in molte regioni dell’Africa.

 

Altre teorie però ritengono che la teoria del cacciatore non sia sufficiente a spiegare l’insorgenza dell’Hiv solo nel XX secolo, visto che le scimmie fanno parte della dieta africana da centinaia, se non migliaia di anni. Un’altra teoria riapre il capitolo delle sperimentazioni con sangue e tessuto di scimmie effettuate nel XX secolo. Nella letteratura medica si incontravano fra il 1922 e il 1955 «diversi casi in cui a umani era stato iniettato sangue di scimmia contenente parassiti della malaria» per scopi terapeutici. Una variante di quest’ultima pone l’attenzione, invece, sugli «innesti testicolari» effettuati a centinaia di persone soprattutto nella prima metà del secolo, in cui tessuti di scimpanzé venivano iniettati nell’uomo.

 

 

L’ANTIPOLIO ORALE – Mentre la teoria del vaccino orale antipolio sostiene che il passaggio dell’Aids dalle scimmie all’uomo sia dovuto a vaccini sperimentali antipolio contaminati. L’agente patogeno sarebbe il SIVcpz, un virus degli scimpanzé ritenuto dalla comunità scientifica il progenitore del virus HIV-1. La teoria del vaccino orale antipolio (OPVT), pone l’attenzione sulle sperimentazioni effettuate fra il 1957 e il 1960 nell’allora Congo Belga e nel Ruanda-Urundi (attuali Rwanda e Burundi) su oltre un milione di persone con un vaccino sperimentale denominato CHAT e sviluppato dal Dr. Hilary Koprowski dell’Istituto Wistar di Philadelphia. La teoria acquista risalto con la pubblicazione nel marzo 1992 dell’articolo di Tom Curtis su Rolling Stone, basata sulle ricerche di Blaine Elswood pubblicate un anno dopo su «Research in Virology». A fine aprile 2001 uscirono su Science e Nature gli articoli sui test dei vecchi campioni di vaccini Koprowski. Due centri di ricerca avevano analizzato i 5 campioni trovati al Wistar Institute e i 3 campioni del Center for disease control and prevention, non rilevando tracce di SIV/HIV né di DNA mitocondriale delle scimmie.

 

(Pietro Vernizzi)





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