AMBIENTE/ Per gestire la risorsa acqua va evitata “l’ingegneria miope”

- Gaia Soldà

Gaia Soldà ci spiega in che misura la concezione e le modalità di sfruttamento delle risorse idriche siano indice della cultura di un Paese e dell’intimo rapporto tra scienza e politica

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La questione idraulica, o più semplicemente il problema dell’acqua, può essere visto come un filtro culturale tra scienza e politica. Questa è la tesi di uno dei più quotati esperti di costruzioni idrauliche, direttore del laboratorio di ecoidrologia presso l’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna e autore del saggio Il governo dell’acqua (Marsilio).

Ed è una tesi che può facilmente essere documentata. Nell’attualità, dai drammi delle popolazioni che soffrono la sete, ai disastri naturali legati all’acqua: alluvioni, frane, valanghe, allagamenti quando ce n’è troppa; siccità, desertificazione, eutrofizzazione quando ce n’è poca. Ma anche nella storia, dove è stata fattore scatenante di conflitti, fin dalle epoche più remote; e dove ha contribuito a modellare il paesaggio e a dettare i ritmi della convivenza attraverso infrastrutture e tecnologie.

Di questo complesso di fattori Rinaldo ha dialogato venerdì scorso a Milano con il filosofo Giulio Giorello e col geologo Guido Rosti nel convegno “Storie, saperi e misteri dell’acqua”, promosso da Fondazione Aqualab all’interno del Festival Internazionale dell’Ambiente.

Giorello ha sottolineato la valenza politica nonché mitologica e religiosa di tale risorsa, portando esempi tratti dal mondo reale e citando in particolare il caso del Giordano, fiume sacro alla cultura ebraico – cristiana, ora conteso da cinque differenti entità statali. Ha poi rivolto l’attenzione verso la storia antica e in particolare a un racconto de La saga di Gilgamesh (a cura di Giovanni Pettinato, Mondadori 2004) nel quale forte risuona il valore dell’acqua. In tale episodio, Gilgamesh, re di Uruk, è impegnato in una guerra contro la vicina Kish per l’approvvigionamento delle risorse idriche alle quali il re rivale attingeva abusivamente. Per queste risorse era disposto a lottare spronando i giovani del regno con le parole: “(mai) far prosciugare i pozzi profondi a cui è appesa la corda/ mai sottomettere il casato della città di Kish/ piuttosto la guerra”. D’altronde … “una vita nella polvere” che senso avrebbe mai potuto avere? L’acqua è vita, l’acqua può essere morte e Gilgamesh, insieme alla guerra vince anche la vita e ne segna il trionfo: non solo risparmia il suo rivale Agga ma pone le basi di una cooperazione che porti frutto ad entrambi. Vediamo qui, nella Mesopotamia di seimila anni fa, quello che è un po’ l’inizio di una geopolitica dell’acqua e dei problemi ad essa correlati: “una corda a tre fili nessuno può romperla/ l’acqua se trattenuta da un muro non può uscire/ nella casa di canne il fuoco non può essere spento/ Se tu aiuti me e io aiuto te, chi può prevalere su di noi?” (dai frammenti dalla tavoletta di Berlino e Londra).

Non è nella prevaricazione che sta il successo ma in una mutua collaborazione che porti a una gestione ottimale delle risorse: un insegnamento prezioso per affrontare molti problemi attuali. Rinaldo dal canto suo, mostra una serie di fotografie relative ad alluvioni e ad altre calamità, invita a riflettere sul tema del governo dell’acqua e, più in generale, della natura. Il relatore si schiera contro una corrente di pensiero molto diffusa ai giorni nostri, che vede l’azione dell’uomo in un certo qual modo contrapposta a quella della natura. Rinaldo sostiene la necessità di sviluppare una dialettica ambientalismo – capitalismo che porti a una migliore gestione del territorio. E’ dovere dell’uomo gestire l’ambiente e bisogna smascherare l’illusione che la natura vada da sé nella direzione giusta. Certo, bisogna utilizzare intelligentemente le risorse tecnologiche, evitando operazioni di “ingegneria miope”, come quella che ha deviato fiumi della Russia che alimentavano il mar di Aral prosciugandolo e provocando la scomparsa di interi ecosistemi.

Le nuove tecnologie, se ben utilizzate, possono offrire l’opportunità di un migliore utilizzo di ciò che la natura ci mette a disposizione: possono aiutare a contenere gli sprechi e a mitigare le catastrofi naturali. Infine Rosti, tra i promotori del referendum per la riattivazione dei Navigli milanesi, ha rilanciato la proposta di riportare in vita quella civiltà dell’acqua da cui la stessa Milano è sorta e di cui poi si è dimenticata. La metropoli lombarda in effetti è fiorita come “città d’acqua”: da essa traeva protezione, energia e ricchezza, grazie ad essa si sviluppò una fiorente cultura, nonché nuove idee e tecnologie per valorizzare appieno una risorsa tanto preziosa. Alla naturale disponibilità idrica derivante dai fiumi Olona, Seveso e Lambro si affiancò l’opera umana tramite la costruzione di canali e chiuse che fecero di Milano una città navigabile e resero la Darsena il 13° porto in Italia: un record, se si tiene conto della sua posizione geografica. Purtroppo la pigrizia umana ha portato a una gestione sempre più carente di queste ricchezze infrastrutturali create nei secoli; nel frattempo le veloci automobili rendevano obsoleta la navigazione e i Navigli videro una progressiva decadenza. Ridonare splendore ai Navigli può portare a un miglioramento socio-economico con un maggiore sviluppo del turismo, un miglioramento estetico della città e, naturalmente un più efficiente e completo sistema di mobilità che assumerebbe una connotazione positiva in senso ecologico.







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